L'uomo che ha decapitato a colpi di mannaia la colf ucraina era sotto l'effetto di metaqualone, sostanza usata anche da Jordan Belfort nel film di Scorsese. Lo psichiatra Dell'Acqua: "La polizia dovrebbe indagare su chi gli ha procurato le dosi"
“La follia è dentro ognuno di noi. Ma un delitto non nasce mai per caso”. Inizia con queste parole il commento di Giuseppe Dell’Acqua, per 17 anni direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, allievo e poi collaboratore di Franco Basaglia, sull’omicidio avvenuto domenica nella villetta in via Birmania, nel quartiere Eur di Roma. Federico Leonelli, 35 anni, che ha decapitato a colpi di mannaia la colf ucraina di 38 anni, era sotto l’effetto di dosi massicce di metaqualone, noto come “droga di Wall Street”. Un farmaco nato contro l’insonnia, usato come stupefacente negli anni 70 per lo stato euforico che provoca.
Ma è la stessa droga usata da Jordan Belfort in “The Wolf of Wall Street”. Si può prescrivere?
La polizia dovrebbe indagare su come facesse a procurarsi le dosi. Non si prescrive mai, che io sappia. È stato sperimentato come ipnotico e quasi sempre usato come droga. I poveri dell’Africa lo prendono per sopportare la miseria.
La famiglia aveva richiesto l’intervento dei servizi sociali per un tso ma è stato respinto. Leonelli ometteva o abusava delle dosi del farmaco. Come è possibile che non fosse sotto stretto controllo sanitario?
Non c’è nulla da eccepire. Visto che lui si rifiutava di farsi curare, può darsi che stessero ancora studiando il modo giusto per intervenire. Comunque la psichiatria è una presunta scienza, in quanto falsamente deduttiva: le inferenze le facciamo dopo l’accaduto. Noi psichiatri non possiamo mai essere sicuri prima che una persona stia meditando un gesto estremo.
Si è trattato di un raptus?
Il raptus non esiste. Neanche la banalità del male. Piuttosto, ci sono persone che arrivano a un punto di rottura con la vita, non riescono più a sopportare la fatica delle relazioni e della quotidianità. Finchè, giorno dopo giorno, si trovano in una squallida normalità in cui tutto è lecito, perfino ammazzare qualcuno.
Alla base c’è uno stato depressivo trascurato?
La depressione è una parola contenitore, abusata. Ogni storia è un caso a sé stante. L’uomo aveva la passione delle armi, voleva arruolarsi nell’esercito di Israele ed era pieno di tatuaggi. Sintomi di un pensiero esasperato . Stava elaborando una sua visione del mondo frutto di un malessere. Se però lo fa un jihadista, lo definiamo terrorista. Se lo fa il novergese che stermina una scuola, è uno schizofrenico. Bisogna stare attenti alle etichette facili. Dietro a gesti del genere, c’è la sofferenza, che si alimenta giorno per giorno finché diventa normale fare del male a sè o agli altri.
Lei quindi sostiene che la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che causano disagi, che a volte rimangono senza una soluzione.
È così. Non dobbiamo difenderci dietro lo schermo del disturbo mentale. Siamo sempre in presenza di un’incredibile malessere, di una persona che non si sente parte di questo mondo, che è in cerca di un posto , non si è sentito importante per qualcuno che stimava, con tanti fallimenti e delusioni alle spalle e per cui nessuno ha davvero fatto il tifo.
Quando è giusto intervenire con lo psicofarmaco?
Lo psicofarmaco è solo uno strumento. La sua prescrizione deve sempre rientrare in un progetto di recupero più ampio, che prevede un percorso di psicoterapia, di aiuto nella vita quotidiano e sul lavoro. Puntare tutto sulle medicine produce disastri. I medici di base sono addestrati dalle ditte farmaceutiche a prescrivere antidepressivi per i disagi più lievi. Ma è un errore. Prima bisogna provare con il dialogo. Una volta è bastato che io parlassi a un paziente per qualche ora, farlo riflettere, perché stesse meglio.
Da Il Fatto quotidiano del 28 agosto 2014