Si parla tanto e da tanto tempo di riforma della giustizia. In primis per quanto riguarda la giustizia penale, campo in cui “il pregiudicato”, che se ne intende, sembra continuare ad impazzare, soprattutto con quelle che ritengo le vergognose ipotesi della separazione delle carriere, della fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, della riduzione dei tempi di prescrizione. Un’evidente, pericolosa deriva per favorire la delinquenza, anziché tutelare i cittadini.

Si parla sempre poi dell’ennesima riforma della giustizia civile. Non ricordo quante ne ho visto di mini-riforme da quando esercito…

Ma nessuno parla della possibile riforma di quella amministrativa.  Il Movimento Cinque Stelle ha presentato una proposta di legge mirante alla abolizione dei Tribunali delle Acque e del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Lodevole iniziativa, ma io andrei più in là, e prevedrei addirittura l’abolizione dei Tribunali Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato (mantenendone semmai la funzione consultiva), ma non solo per ragioni di carattere economico, bensì per ragioni di giustizia tout court.

Premesso che io pascolo assai poco il diritto amministrativo, peraltro ho avuto modo di seguire diversi processi aventi ad oggetto questioni di carattere ambientale radicati davanti ai Tar e l’impressione che ne ho tratto non è stata così favorevole. Tutt’altro. E in tale impressione sono stato confortato dai colleghi amministrativisti. L’apparenza è che i giudici amministrativi abbiano sempre un occhio di riguardo nei confronti della pubblica amministrazione. Un favor quindi verso il convenuto, posto che, di massima, ci si rivolge al giudice amministrativo in quanto si ritiene di essere lesi da un provvedimento, o da un atteggiamento proveniente dal settore pubblico. Risultato: ben difficilmente vince il privato, o, nel nostro caso, l’associazione ambientalista. Ed oggi altresì ben difficilmente le spese vengono compensate e, se si perde, sono dolori. Senza contare il considerevole esborso del contributo unificato che si deve anticipare per radicare un giudizio, decisamente più alto che non nel diritto civile. Basti pensare che il contributo ordinario è oggi di ben 650 euro, e che per il processo volto ad ottenere gli atti dalla pubblica amministrazione (il sacrosanto “diritto di accesso”) sono previsti ben 300 euro…

Ed allora mi chiedo se davvero valga la pena di tenere in piedi questo che tra l’altro è un onerosissimo apparato giudiziario. Già, si parla tanto di spending review ma quanto costano le sedi dei Tar o quella del Consiglio di Stato? Palazzi stupendi con atmosfere ovattate, che sembrano tante bellissime chiese dove gli officianti non sono preti ma giudici? I giudici li paghiamo noi e i giudici di Tar guadagnano molto più dei colleghi civilisti, lavorando parecchio di meno.

È vero, l’esecutivo ha previsto di eliminare le sedi distaccate, come già ha fatto per i tribunali ordinari, ma questa, ho già avuto modo di rilevarlo, non è una soluzione al problema, perché la giustizia dovrebbe essere facilmente accessibile per il cittadino, anche in senso strettamente materiale.

Costi alti per accedere alla giustizia, apparato onerosissimo, inteso come sedi e come stipendi dei giudici. Cosa aspettiamo per eliminare tutto questo e concentrare le competenze presso i tribunali ordinari, con concorsi ordinari per accedere al rango? È vero, per far fuori i Tar occorrerebbe anche modificare l’art. 125 della Costituzione. Ma che volete che sia, oggi, che in quattro e quattr’otto si elimina di fatto addirittura il Senato della Repubblica?

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