Notizie in fotocopia, mimetizzate, dirottate su stampa locale e di settore (forse per non far troppo rumore …) “L’appello: elettrosensibile chiede aiuto”, “Disperata per l’antenna, ma voglio restare a casa”, “Elettrosensibile, la vita al buio di Giulia”. Tragedie individuali, invisibili, vissute nell’indifferenza generale, per un disagio invero prodotto dai consumi della collettività (e non solo!).

Mass-media (nazional-generalisti) silenti, medici impreparati nella diagnosi/gestione di un’insidiosa malattia ambientale, classe politica nicchiante (Marino, sindaco capitolino, ha recentemente presenziato un convegno sul tema: restiamo alla finestra) e, tra conflitti d’interesse dei ricercatori e vuoto normativo, gli affari dei giganti TLC gongolano a discapito della salute. Nostra. 

L’elettrosensibilità ti espone ad una battaglia continua, la gente non vuol credere che esista questa malattia – lo sfogo al Messaggero Veneto del marito di Giulia, una malata friulana in fuga da lavoro e casa per vivere in una tenda schermata tra le montagne della Carnia, al riparo da onde elettromagnetiche – Accettare una situazione del genere vorrebbe dire cambiare le proprie abitudini e nessuno è disposto a farlo finché la salute glielo permette”. 

Sul mensile ecologista Terra Nuova la storia di una cinquantenne di Imperia in ritiro dalla vita sociale, rifugiatasi in un agriturismo del Piemonte in cerca di un’inesistente Free Elettrosmog Zone: “Noi elettrosensibili soffriamo moltissimo in presenza di smartphone, tablet, bluetooth, cordless, tutti oggetti dei quali sembra che oggi non si possa fare a meno. Mi causano violenti sbalzi di pressione, difficoltà respiratorie e vertigini. La cura? L’allontanamento dalla fonte del malessere. Non ricevo alcun aiuto dallo Stato sotto forma di pensione di invalidità o altro”.

Nella cronaca del Corriere di Arezzo la sfida di TalzanoFlavia Bisogni, elettrosensibile, ha portato in tribunale un colosso di BigPhone per la terza antenna di ripetizione per telefonia mobile, installate a pochi metri da casa. Un incubo, oltre la beffa. “Ho dovuto abbandonare Firenze, cerando riparo nella campagna aretina”, racconta denunciando l’accerchiamento da elettrosmog, trappola che la costringe a soffrire H24 tra le mura domestiche. “Sono disperata, già la situazione era al limite vivibilità. Ora che devo fare? Arrendermi? Andar via dalla casa costruita con sacrificio dalla famiglia?”.

Di storie così ce ne sono centinaia, probabilmente migliaia. Tutte sommerse. Il fatto è che non si conoscono perché gli ammalati sono costretti all’isolamento e gettarli nell’arena pubblica (evidentemente) è scomodo per molti. Ma voltarsi dall’altra parte e far finta di nulla, significa ignorare un problema di rilevanza socio-sanitaria sempre più pressante, visto l’incremento di tecnologia wireless e la conseguente esposizione pubblica a campi elettromagnetici sempre più alti.

Oppure, far finta che gli elettrosensibili siano fantasmi, fisiologiche vittime da sacrificare sull’altare dell’Hi-Tech, vuol dire istigare gesti estremi come quello di una elettrosensibile di Pistoia che, nel 2009, trovatasi senza vie di scampo e isolata, ha preferito togliersi la vita nel silenzio generale, pur di non continuare a soffrire, straziata da un sistema che non offre alternative protette, né politiche di precauzione e, colpevolmente, non vede, non sente e non parla (se non ovviamente al telefonino …).

 

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