Il mafioso in questione è Giuseppe Grassonelli, boss della Stidda gelese impegnato negli anni ’80 in una feroce guerra contro Cosa Nostra ed autore del libro Malerba. Nel suo scritto racconta la propria vita di mafioso e chiede scusa dei propri crimini ai cittadini di Porto Empedocle affermando di essere stato costretto a quella vita a causa dello sterminio avvenuto nei confronti dei suoi familiari.
E quindi? Ok tutto a posto, ha chiesto scusa, può vincere il Premio? No, non funziona proprio così.
Sono il primo a pensare che il sistema carcerario italiano vada rivisto, che l’ergastolo stesso è un istituto che così com’è va modificato perché contrario al principio costituzionale di rieducazione del condannato, però, c’è un però. Può un mafioso che giuridicamente non si è mai pentito, non è divenuto collaboratore di giustizia, non ha aiutato la giustizia italiana, essere assolto socialmente da tutte le accuse?
È come sempre un problema di opportunità, di messaggi, di segnali. E quindi ancora: può la nostra società, ancora arretrata sul sistema educativo-carcerario, permettersi un mafioso ergastolano vincitore di un Premio letterario nato in favore del riscatto del sud contro la mafia?
La mia risposta è no. Non oggi, non dal carcere.
Prima si cambia il sistema. Prima si istituisce un reale percorso rieducativo ed una valutazione dell’effettiva possibilità di reinserimento nella società, prima dimostri che il passato è davvero passato. Solo dopo, solo allora, quando sarai un uomo libero, quando avrai dimostrato allo Stato di meritarti la tua seconda possibilità, potrai avere la possibilità di vincere tutti i premi del mondo al pari di tutti gli altri cittadini onesti. Anche se non per colpa tua, oggi, ai miei occhi, ancora non lo sei.