Il suo nome era stato la vera sorpresa della lista dei 16 ministri del Governo Renzi. Ma anche quello che ha fatto discutere Napolitano che avrebbe preferito la conferma di Emma Bonino e Renzi di cui invece è donna fidata. Federica Mogherini, 40 anni, responsabile Europa e Affari Internazionali della segreteria del Pd, ministro degli Esteri per sei mesi, da sabato sera Lady Pesc. Il suo nome è stato fatto pubblicamente la prima volta da Renzi all’inizio dell’ultima direzione del partito, quella della sfiducia al Governo Letta, per ringraziarla del lavoro fatto a Bruxelles per l’ingresso del Pd nel Pse europeo. Da allora è stata sulla rampa di lancio e ha spuntato incarichi di prima grandezza, accompagnati sempre da freddezza e riserve – sia in Italia che all’estero – soprattutto (ma non solo) per la mancanza di competenze specifiche nel ruolo e un curriculum tutto dentro il partito, che rispecchia il classico cursus honorum dei funzionari di una volta. Prestando sempre il fianco alla corrente dominante del momento, fino alla partenza per l’Europa.
Nel caso degli Esteri, il ruolo si è tradotto in una continuità senza svolte sul caso Marò, da qualche (timido) tentativo di fare spending review alla Farnesina, dalla riforma della Cooperazione già istruita dal governo Letta e dalla decisione di inviare armi ai curdi. Qualche polemica, ma il peso dell’Italia in politica estera non sembra aumentato. E tuttavia per il ministro italiano si spalancano ora – dopo un lungo braccio di ferro tra governi – le porte dell’Europa, con la carica di Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune (Pesc).
Una nomina quasi imposta ai partner europei, sulla quale Renzi ha messo la faccia e ingaggiato un lungo braccio di ferro con gli altri capi di governo, fino a sfidare l’aperta resistenza dei Paesi dell’Est perplessi di fronte all’atteggiamento di amicizia apertamente espresso dalla Mogherini alla Russia di Putin. Le resistenze sono crollate solo grazie a un accordo di scambio sulla presidenza dell’Unione a favore del polacco Tusk. Tutto per equilibrare e assecondare la pretesa italiana che ha di fatto complicato per mesi il puzzle.
L’ostinazione di Renzi era parsa tanto più “curiosa” alla luce dell’inconsistenza dell’incarico. La poltrona in pallio è solo di alta rappresentanza, sopratutto in un’Europa in cui nessuno cede la politica estera. Ma il contorno, secondo le analisi che hanno cercato di codificare l’impuntatura del governo italiano, sarebbe in realtà il piatto forte. Perché mr Pesc, fanno notare, è anche vicepresidente della Commissione e partecipa alle riunioni del Consiglio. Sul suo tavolo, dunque, passerebbero i dossier europei che interessano a Renzi.
Una lettura meno benevola guarda invece a un’altra storia. Fatta di poca strategia e di tante “appartenenze”, di strappi e cuciture consumati tutti dentro al Pd. Altro che politica estera dell’Unione. Intanto con lei Renzi riesce laddove Massimo D’Alema fallì. Cinque anni fa l’ex premier, anche lui fresco di una breve parentesi agli Esteri, era in lizza per il ruolo di ministro degli Esteri dell’Unione. Alla fine, nel gioco delle nazioni e dei veti incrociati, la spuntò.Catherine Ashton. A compromettere la candidatura italiana, si disse allora, era stata una foto di Ferragosto del 2009 che lo ritraeva a passeggio col deputato Hezbollah Hussein Haji Hassan, mentre si aggirava per le strade di Beirut bombardata da Israele. Cinque anni dopo il nome di D’Alema è balenato ancora nell’aria, per poi dissolversi nel vento, a favore di quello della Mogherini. Ma anche lei , in realtà, ha la sua foto ricordo che fa storcere il naso, ma stavolta non è bastata a comprometterne il “prestigio”. Appena nominata ministro circolò in rete uno scatto che la ritraeva accanto al leader palestinese Arafat. Risale probabilmente agli anni della Seconda intifada, quando il PD manteneva le posizioni filo-arabe e terzomondiste di derivazione Pci.
Era il tempo della militanza nella Sinistra giovanile negli anni universitari, del lavoro al dipartimento Esteri ai tempi della segreteria Fassino (prima come responsabile del rapporto coi movimenti poi come coordinatrice), l’ingresso nel Consiglio nazionale dei Ds, la direzione. E infine, col Pd, l’approdo in segreteria con Walter Veltroni e Dario Franceschini nel ruolo di responsabile Istituzioni (agli Esteri c’era il suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli). Ne ha fatta di strada, Federica Mogherini. Ad aiutata nella corsa anche il marito, Matteo Rebesani, compagno di militanza politica e poi assistente di Walter Veltroni in Campidoglio, che lo volle a capo dell’Ufficio relazioni internazionali del comune di Roma. E dove – grazie anche alla grandeur dell’allora sindaco – ebbe modo di spaziare dai diritti umani alla cooperazione fino ai summit coi premi Nobel e la visita del Dalai Lama. Come racconta il Corriere, del resto, il rapporto con Veltroni era suggellato anche da una lunga amicizia di Isa Mogherini, la zia di Federica, con la madre di Walter. Tutti ingredienti che hanno avuto certo un peso anche nell’approdo parlamentare, culminato nel 2008 con l’elezione a 35 anni a Montecitorio e la presidenza della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato.
La carriera si accompagna alle capacità di navigare tra le correnti. Prima, come detto, dalemiana, poi vetroniana, franceschiniana, poi sostenitrice di Bersani e adesso di Renzi. Adesso. Perché prima di adeguarsi alla corrente, con il sindaco di Firenze ancora rottamatore, non si curò di sparargli contro al motto “Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera… non arriva alla sufficienza” (28 novembre 2012). Ma furono gli ultimi colpi perché l’avanzata del sindaco l’ha portata a più miti consigli. E da allora per lei è stata “la svolta buona”.
Da oggi si smetterà, forse, di parlare di Lady Pesc e si tornerà a Roma. Perché la nomina della Mogherini a Bruxelles libera una casella importante nel governo e quella poltrona vuota potrebbe avviare il valzer ministeriale di cui si vocifera da settimane. In predicato di sostituirla, l’ex collega nella segreteria PD esteri e suo attuale vice alla Farnesina, Lapo Pistelli. Ma su questo pesa il diktat di Renzi sulle quote rosa, per cui si è fatta l’ipotesi di coprire la casella facendo traslocare dalla Difesa Roberta Pinotti e mettendo l’ex sottosegretario Marta Dassù alla Farnesina. E’ fatale, a questo punto, che il risiko per Bruxelles ne spalanchi uno a Roma.