Prima che l’Ilva affondi occorre preparare le scialuppe di salvataggio per i lavoratori. Ma in tanti fanno finta di non vedere che la nave affonda. Vivono sul Titanic, senza alcuna consapevolezza e senza preparare il piano B. E’ da tempo che sostengo questo e ne scrivo. Ieri sono stato convocato dalla Commissione Sviluppo del Consiglio Comunale di Taranto per relazionare sulle possibili alternative. Ho spiegato che al tempo dell’ex ministro Corrado Clini la ricetta era: produrre, fare profitti e risanare con i profitti dell’Ilva. “Se qualcuno pensa che il risanamento possa avvenire fermando gli impianti, non ha capito dove siamo”, sosteneva Clini.
Questa posizione è stata mantenuta nel tempo come asse portante di ogni ragionamento sull’Ilva di Taranto. Oggi però quella posizione non è più valida. Ilva, infatti, non produce profitti: produce perdite per 80 milioni di euro al mese. Inoltre, Ilva è gravata da un enorme debito e non riesce a pagare neppure i fornitori. Da mesi paga a stento i propri dipendenti.
Se questa è la situazione, che senso ha andare avanti senza prevedere un piano B in caso di affondamento del Titanic?
E quindi ho detto ai consiglieri comunali che questo dovrebbe essere il primo compito da affrontare con saggezza, al di là del fatto che si possa essere divisi sull’Ilva: le scialuppe di salvataggio devono essere comunque presenti sulle navi, come le ruote di scorta sulle auto. Anche chi auspica lunga vita all’Ilva dovrebbe elaborare un piano B nel caso in cui la realtà smentisca i propri auspici.
Ho cercato di delineare pertanto un “piano B” da sottoporre alla loro attenzione. Lo sottopongo all’attenzione dei lettori di questo blog. Sono graditissimi consigli e spunti per integrarlo e migliorarlo. In tal modo diventerà un Wiki-Piano-B.
Ieri, dopo l’audizione alla Commissione Sviluppo, ho letto sulla Gazzetta del Mezzogiorno di uno studio pubblicato su un’autorevole rivista scientifica, relativo all’Ilva di Taranto. In esso Adele Di Fabbio e Lidia Greco dimostrano che è l’Ilva a frenare le altre opportunità di sviluppo. “L’acciaio da elemento di solidità a fonte di crisi”, così riassume Fabio Di Todaro sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Il saggio è stato pubblicato sull’ultimo numero del Cambridge Journal of Regions, Ecomomy and Society. Contemporaneamente PeaceLink riceveva dagli amici americani di Pittsburgh che effettuano il “bike air monitoring” della città la buona notizia che l’occupazione lì sta tornando a salire. A Pittsburgh, dove hanno chiuso le acciaierie, la nuova economia ha portato la città fuori dalla recessione globale. Oggi Pittsburgh è una delle tre città americane che ha meglio superato la crisi del 2007-2009 puntando sulla riconversione. Il piano B, appunto.
“We employ more people in Pittsburgh than we ever have“, ha scritto il sindaco di Pittsburgh (“noi impieghiamo più persone a Pittsburgh di quante non ne abbiamo mai avute”). Proprio così.
Intanto Ilva oggi delizia i tarantini con il panorama mozzafiato che vedete nella foto.