Lettore, posso ‘nominarti’ per una secchiata d’acqua gelata a sostegno della ricerca sulla Sla? Allora, nomino anche voi? Nel caso, però, vi prego di donare- per stile – ma senza esibire i soldi! Sebbene molto aperto nel dibattito su questa iniziativa di fundraising ‘all’americana’ pochi sanno cosa pensano delle ‘secchiate’ i principali protagonisti: le Associazioni (Aisla e Arisla), i malati, ed i fundraisers…
Ricordiamo innanzi tutto la drammaticità della Sla: una gravissima malattia neuro-degenerativa che colpisce brutalmente in Italia circa 3500 persone (la regione più colpita è la Lombardia) e 100.000 nel mondo.
Le Associazioni amano i secchi (d’acqua): questo è un dato imprescindibile del dibattito.
Secondo Mario Melazzini, Presidente di Arisla, Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica : “Questa campagna virale è stata ed è utile. Nella nostra società parlare di disabilità e malattie gravi crea angoscia, quindi è importante far capire che si può aiutare la ricerca anche con il sorriso”.
Rinforza il concetto Alberto Fontana, tesoriere di Aisla, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica: “Viva i secchi, è una cosa bellissima, e non solo perché come Aisla abbiamo raccolto in poche settimane più della metà del nostro budget annuale dedicato alla ricerca, ma anche perché questa campagna ha centrato entrambi gli obiettivi che un’associazione come la nostra si pone: sostenere la ricerca e mettere in evidenza la realtà delle migliaia di persone che vivono con dignità una malattia devastante. Che si poteva volere di più? I vip che si fanno la doccia non piacciono? Pazienza. Io guardo al risultato“.
Già, il fatto che Renzi tra secchiate e papere in inglese ormai impazzi con simpatia tra i ragazzi under 18 a qualcuno può dare sui nervi, ma giustamente andiamo a vedere i risultati: che si prevedono arrivare complessivamente ai 4-500.000 euro raccolti (solo l’Aisla ne ha dichiarati 290.000 al 25 agosto).
Perché allora alcuni autorevoli amici e colleghi ‘fundraisers’ sono dubbiosi? Scopriamolo grazie a tre professionisti ‘storici’ del settore, molto attenti alla complessità culturale e sociale delle iniziative.
Secondo Massimo Coen Cagli della Scuola di Fundraising di Roma, “questo fenomeno evidenzia un paradosso, in cui il contenitore è diventato più importante del contenuto”. In campagne come questa si rischia che il potenziale donatore sia più interessata a Renzi, Fiorello e company che si fanno la secchiata, ma rimanga distaccata nei confronti della causa che la campagna promuove”.
Stefano Malfatti (Responsabile Fundraising della Fondazione Don Gnocchi di Milano e Docente di ‘Corporate Fundraising’ presso Asvi, Blogger su www.fundraisinglink.it e recentemente nominato ‘fundraiser dell’anno’) intervistato ‘on the road’ scherzando, mi ha detto: “Mi sento freddo…. verso questa modalità di raccolta. Sia io che molti colleghi privilegiamo modalità di raccolta fondi più legate ad una informazione chiara, efficace e a medio-lungo termine, che campagne ‘a breve’ che spesso non sono chiare dal punto di vista informativo“.
Una posizione articolata è espressa anche da Massimo Pesci (Direttore del Master in Fundraising di Asvi, consulente presso Croce Rossa Italiana e Direttore Fundraising Agire): “Negli Usa in 20 giorni si sono superati i 50 milioni di dollari raccolti, segno che alla viralizzazione on line è seguita anche quella dei portafogli – l’anno precedente la campagna di sensibilizzazione americana sulla Sla aveva prodotto meno di 2 milioni di dollari. In Italia i portafogli sono rimasti indietro – come spesso accade – e ha stravinto la viralità mediatica. Che conclusioni trarne? Che i meccanismi di social engagement hanno delle regole, e che quelli del fundraising ne hanno altre”.
Prosegue Pesci: “Tanto più il gioco “on line” è tale e tanto più da noi si rischia che anche il problema che la campagna vuole affrontare venga percepito come tale o resti sullo sfondo. Non servono esperti di comunicazione per dirlo, lo dicono i malati di Sla italiani – cita Pesci – “Lottiamo ricevendo continue secchiate gelide in faccia: si sono già succeduti tre governi e riceviamo solo parole vane. Le secchiate dovremmo gettarle a quei politici che non hanno dignità nel rispettare le promesse”.
Il mio punto di vista, a margine, è che sia necessario integrare meglio nella campagna gli aspetti informativi, parlando di più della ‘buona causa’ per aumentare la consapevolezza degli spettatori. Utilizzare, inoltre, il potenziale mediatico in termini di lobbying-sensibilizzazione anche sul governo affinché il problema diventi sempre più sanitario e pubblico più che (solo e comodamente) filantropico.
In una società dello spettacolo, ‘che lo spettacolo continui’, ma che almeno, sia utile!
Ps. Se non vi piace l’acqua gelata, vi do quest’altra scelta (un video fantastico girato a Gaza).
Graditi ed utili i vostri commenti!
Puoi anche scrivermi: m.crescenzi@asvi.it – con riferimento al titolo del post- “Nonprofit-W i secchi’ (e attendete con pazienza la riposta, arriverà :-)
Se vuoi puoi anche approfondire in modi specialistici temi del non profit sul ‘blog4change’ di ASVI.