Tre anni fa (accidenti, è così tanto che scrivo qui? Troppi, dirà qualcuno) dedicai un post a quelli che un tempo erano definiti “orti di guerra” e oggi sono semplicemente “orti urbani”, che non crescono in fregio alle traversine delle ferrovie o sulle scarpate delle tangenziali, ma alle periferie delle città, su terreni demaniali, concessi in comodato ai cittadini.
Ebbene, proprio dal 2011 in cui scrissi il post, in Italia (all’estero il fenomeno è spesso più risalente e radicato che non da noi) gli orti urbani si sono triplicati in estensione, raggiungendo i 3,3 milioni di metri quadrati. Essi sono quasi tutti dedicati all’orticoltura, molto meno al giardinaggio.
Il dato ce lo fornisce la Coldiretti sulla base di dati Istat ed è relativo al 2013. Nel 2011 l’estensione era di appena 1,1 milioni di metri quadri.
L’81% dei terreni è al nord. A fare da capofila nella concessione le città di Torino, Milano, Bologna, Parma. Molto meno esteso il fenomeno al sud, dove sono presenti solo a Napoli, Andria, Barletta, Palermo e Nuoro.
La stessa Coldiretti, con la Fondazione Campagna Amica, si offre di fornire strumenti ai novelli coltivatori/consumatori.
Se guardate in rete, quasi tutti i numerosi articoli che segnalano questa notizia, evidenziano che gli orti urbani sono frutto della crisi. Mi sembra un’analisi un po’ superficiale. Anche senza contare il tempo da dedicarci, gli orti sono in periferia: comprare le piante, almeno il verde rame, pagarsi l’autobus o la benzina per arrivarci ha un costo. Alla fin fine, ritengo che costi di più coltivare su microscala che acquistare i prodotti al mercato. Più convincente forse la tesi che coltivare dà piacere, sia per il piacere del fai-da-te sia per il legame diretto con la terra. E comunque ben venga!
Una curiosità tratta dal regolamento del bando di assegnazione del Comune di Torino: “Gli orti dovranno essere coltivati biologicamente ed è pertanto vietato l’uso di concimi chimici e di prodotti inquinanti (diserbanti, antiparassitari, ecc.) che possono arrecare danno all’ambiente. L’uso di tali prodotti comporterà la revoca dell’assegnazione.” Si potrebbe dire che è una lodevole iniziativa quella di prevedere l’obbligo dell’agricoltura biologica, ma è anche vero che per una superficie limitata e per un consumo familiare riempire frutta e verdure di veleni magari è un po’ una fesseria. Prima ancora che un divieto.