Sarebbe stato definitivamente pagliaccio, con il che ricevere mille e mille chapeau di ammirazione, se in luogo dell’abituccio blu petrolio da Europa dell’est, si fosse presentato proprio lui vestito da gelataio, con bustina operaia sul crapone e paletta d’ordinanza. Sarebbe stato un buttarla in vacca in via estrema, senza mediazione possibile, lasciando credere che quel giocherello dell’Economist, per sadico che fosse, lo si superava a sinistra soffrendoci il giusto.

Invece così, il patimento è stato enorme per organizzare addirittura una rivincita di quelle malinconiche proporzioni, peraltro confermando quel che già si sapeva abbondantemente di Matteo Renzi, che il tipo è rissaiolo e muscolare, quell’attitudine infantile e provinciale che uno si porta appresso magari per tutta una vita, ma se poi diventi per un fantasmagorico caso del destino presidente del Consiglio del tuo Paese, è magari il caso di temperare con uno stile e una compostezza diverse.

Dario Di Vico sul Corriere si è chiesto come mai qualcuno dei suoi non abbia avuto fegato di fermarlo. Che nessuno gli abbia detto: “Guarda Matteo, è una pirlata e non fa nemmeno ridere”. È una domanda centrale, perché investe la predisposizione al confronto dell’uomo di Potere, la sua soglia di tollerabilità al confronto delle idee, la sua potenziale disposizione a incassare dei “no”. Insomma, la sua necessità di circondarsi di persone “alte” sotto questo punto di vista, persone che innervino le tue idee di continui fasci di luce trasversali, che nel pieno riconoscimento della tua enorme personalità abbiano a cuore la sintesi più virtuosa possibile, che sappiano mostrarsi indisponibili a “certe” mediazioni. Che abbiano sempre in tasca una gentile lettera di dimissioni dall’incarico, quando sia del tutto palese che lo scambio non è più tale. 

La sensazione di questi mesi è che il giovane Renzi non ami troppo il confronto di livello. E che nelle occasioni in cui invece è inevitabile – vedi il ministero dell’Economia – la sintonia raggiunta è faticata, quasi nervosa, certamente non così affettuosa. Prendiamo la questione della scuola, per dire un caso piuttosto eclatante. La ministra Giannini si è fatta bella al Meeting di Cl rivelando porzioni della riforma che evidentemente dovevano restare (ancora) avvolte da un certo riserbo. Renzi non ha gradito lo show e sostanzialmente ha commissariato il ministro, lasciandolo fuori da una riunione ristretta proprio sul tema scuola. Un’irritualità che non è sfuggita all’esterno. Ma la conclusione è che, sotto il profilo della comunicazione, si è combinato un mezzo disastro, alimentando enormi aspettative tra i precari. Un errore comunicativo che ha seguito di pochi giorni l’altro, altrettanto grave, sulla fecondazione eterologa, quando si è lasciato che il ministro Lorenzin se ne andasse per la tangente, per poi “seccarlo” all’interno del Consiglio dei ministri.

La comunicazione di sé e la comunicazione più complessa del governo sono elementi troppo delicati per essere risolti con un “crema e limone” nel cortile di Palazzo Chigi. E ancor più importante è ciò che si trasmette all’esterno in termini di soddisfazione di squadra. Un paio di settimane in compagnia di Arrigo Sacchi farebbero molto bene al nostro premier, gli farebbero capire il valore del collettivo, senza il quale anche il più grande talento del pleistocene non la butterebbe mai dentro.

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