Al confine con Israele, negli altipiani Golan del , gli operatori di pace dell'Onu si trovano sotto attacco dopo una sparatoria dei ribelli. Mentre il governo di Barack Obama valuta la strategia da implementare in Siria e Iraq, il re Abdullah manda un avvertimento all’Europa e agli Stati Uniti, affermando che il terrorismo li minaccerà "entro un mese" se non lo affronteranno subito in paesi dove imperversano i jihadisti dello Stato islamico
Sotto assedio al confine tra Siria e Israele 40 caschi blu dell’Onu di nazionalità filippina. E nuovo avvertimento all’Occidente. Il segretario alla Difesa filippino, Voltaire Gazmin, ha annunciato che la postazione nella base di Rwihana sugli altipiani del Golan, dove si trovano i 40 peacekeeper ha subito una sparatoria ad opera dei ribelli siriani nella mattina e si trova ancora sotto attacco. Non si ha conferma che si tratti dei combattenti di al-Nusra, il gruppo legato ad al-Qaeda che due giorni fa hanno preso in ostaggio nella zona 44 militari delle Fiji.
Si ipotizza invece una nuova, violenta esecuzione per via di un video che è stato diffuso sul web da un sedicente jihadista, che mostra la decapitazione di uno dei soldati libanesi catturati da milizie dello Stato islamico (Isis) e dal Fronte al Nusra durante gli scontri nell’est del Paese, al confine con la Siria. Diversi media libanesi hanno messo in dubbio l’autenticità delle immagini, mentre le autorità finora non si esprimono. Nel video viene mostrata la decapitazione di un giovane in abiti civili e con la barba. Nel filmato il soldato, bendato e con le mani legate dietro la schiena, si contorce e scalcia mentre un combattente annuncia la sua uccisione e poco dopo un altro lo decapita. La vittima viene presentata come il sergente Ali el Sayyed, “un apostata appartenente all’esercito della Croce”, cioè le forze armate libanesi. Fonti della sicurezza citate oggi dal quotidiano Al Hayat affermano che non vi è alcuna conferma sull’autenticità del video e sostengono che invece il sottufficiale ha fatto defezione dall’esercito durante i combattimenti di alcune settimane fa.
Mentre il governo di Barack Obama valuta la strategia da implementare in Siria e Iraq, il re saudita Abdullah manda un avvertimento all’Europa e agli Stati Uniti, affermando che il terrorismo li minaccerà “entro un mese” se non lo affronteranno subito in paesi dove imperversano i jihadisti dello Stato islamico. “Vi chiedo di consegnare questo messaggio ai vostri leader”, ha detto nel corso di un ricevimento a Gedda con gli ambasciatori stranieri nel suo paese, “il terrorismo è una forza malvagia che deve essere combattuta con saggezza e rapidità. Se lo si trascurerà, sono sicuro che entro un mese arriverà in Europa e in un altro mese in America”. Lo stesso monito arriva dal vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad, Shlemon Warduni, che ha denunciato la paralisi della comunità internazionale di fronte all’offensiva estremista in Iraq. Intervenuto al meeting di Cl di Rimini e intervistato dalla Radio Vaticana, Warduni ha detto: “E’ una situazione che mette in pericolo tutto il mondo”.
La proposta del segretario di Stato americano John Kerry è quella di formare la “più ampia coalizione possibile di nazioni” per impedire al “cancro dell’Isis di diffondersi ad altri Paesi”. E’ quanto propone in un intervento sul New York Times, sottolineando che lo Stato islamico rappresenta oggi una minaccia internazionale contro molti Paesi, compresi gli Stati Uniti. Kerry annuncia che avanzerà la sua proposta insieme al segretario alla Difesa Chuck Hagel agli alleati europei durante un vertice della Nato in programma la prossima settimana nel Galles, e poi a vari Paesi del Medio Oriente durante una missione che entrambi effettueranno nella regione. “Costruire una coalizione è un lavoro duro, ma è il miglior metodo per opporsi a un nemico comune”, afferma il segretario di Stato, portando come esempio l’ampia alleanza costituita dall’ex presidente George Bush padre e dal suo segretario di Stato James Baker che portò all’intervento armato contro l’Iraq di Saddam Hussein dopo l’invasione del Kuwait. “In questa battaglia – aggiunge Kerry – c’è un ruolo quasi per ogni Paese”. E tra i settori di intervento sottolinea l’assistenza militare, l’assistenza umanitaria e aiuti per sostenere le economie di Stati minacciati dall’Isis.