“Ma il gesto che ti incise dentro io non ricordo”, è scritto nelle poesie di Camillo Sbarbaro che mio marito si porta sempre dietro come un breviario. In una riga ho ritrovato la descrizione perfetta del momento miracoloso della nascita del ricordo (“ti incise”).
Di quello scambio che avviene tra chi vive insieme, si vuole bene: io ti do la cosa più preziosa che ho – un gesto, uno sguardo – e tu la conservi come un pegno. Vale per gli innamorati, ma anche per genitori e figli. È il tentativo di salvare il tempo, di diventare ognuno scrigno dell’altro. Per questo, con impazienza i primi segni della memoria nei miei bambini. Ma che mistero è il ricordo! Difficile dire se sia una facoltà della mente che si forma con il crescere del cervello o una capacità che si apprende come la lettura.
Chissà se ha ragione Orazio – perdonatemi se oggi mi prendono le citazioni, sarà questa estate che ha la malinconia dell’autunno – quando scrive: quidquid aetatis retro est mors tenet (tutto ciò che del tempo è dietro di noi, alle nostre spalle, lo tiene la morte). Lo stesso, però, sentivo che quei momenti avevano importanza. Forse ancora maggiore, perché erano interamente racchiusi nel presente. Poi un giorno, come un sonar che ti rimanda indietro il segnale, Giovanni mi ha restituito un frammento di memoria. Sembrava non sapere nemmeno lui cosa fosse, come un sassolino che si era ritrovato in tasca. “Una volta…”, ha detto. Oggi ha nove anni e una memoria prodigiosa, fresca. Conserva dettagli apparentemente insignificanti della nostra vita che io con noncuranza lascio scivolare via. Io sono come sollevata: dalla responsabilità di custodire il tempo per loro. E mi sento amata, anche così: vedendo i miei piccoli gesti diventare così preziosi da essere conservati.
Dal Fatto Quotidiano del 25 agosto 2014