Qualcuno voleva chiamarla Smeralda, Columbus o Made in Italy, ma la spuntò Azzurra e quel nome a Newport nel 1983 è diventato leggenda. L’Italia sfida per la prima volta il ghota della vela mondiale, il sogno è la Coppa America, il condottiero skipper è il romagnolo Cino Ricci. Nell’estate successiva a quella dei mondiali di calcio in Spagna la gente vuol credere ancora nei miracoli e quelli avvengono per la seconda volta, anche qui c’è un team che ha cuore, passione e il sangue agli occhi.
Gli italiani si fanno onore nella Louis Vuitton Cup, arrivano in semifinale dopo una sfida estenuante con Challenge 12, “nell’ultima bolina il vento è ancora più forte, loro col genoa pesante sono un po’ più veloci…Si avvicinano…Continuiamo così…ci incrociamo, gli viriamo sopra…ma dov’è la linea di arrivo? Eccola. E’ finita! Abbiamo vinto!”. Le parole sono di Cino Ricci, (i più giovani lo conoscono come commentatore sportivo) e quella che lui racconta per la prima volta dopo trent’anni in ‘Odiavo i velisti’ (Longanesi, 2014) è la sua storia, l’avventura umana e sportiva di Azzurra, una storia a tratti inedita, appassionante, raccontata in prima persona con lo spirito vivace e schietto a cui ci ha abituati.
Ma l’alchimia non sarebbe riuscita, se con lui come coautore non ci fosse stato il giornalista de La Stampa Fabio Pozzo, il quale come già in altri scritti (indimenticabile ‘I colori dell’oceano‘ con Simone Bianchetti) riesce a scandagliare l’uomo, l’animo, riuscendo a ricostruire attraverso la storia di Ricci, non solo quella di quarant’anni di vela italiana, ma regalandoci il profumo di un Paese che oggi non esiste più. Alla sfida di Azzurra e a quelle successive con il Moro di Venezia, Luna Rossa, partecipano i capitani d’industria dell’Italia del boom economico, Gianni Agnelli, Raul Gardini, che nel racconto di Ricci svelano parte della loro identità più nascosta.
Ritroviamo il velista romagnolo a pranzo con l’Avvocato sul molo di Vigo o in una battuta di pesca al marlin con il patron del gruppo Ferruzzi mentre gli rivela le inquietudini più profonde che lo porteranno a togliersi la vita. Ciò che più tiene avvinti in questo saggio è, però, la carica d’orgoglio di una nazione che aveva voglia di mettersi in gioco, senza timore di affrontare le partite più difficili.
Già perché la navigazione di Azzurra fu tutta una scommessa, non tanto sui mezzi e le tecnologie (che dominano la Coppa America di oggi), ma sul carattere degli uomini che Ricci sceglie uno ad uno dopo una durissima selezione, si potrebbe dire che oltre ad essere un ottimo leader, egli è uno straordinario “pescatore di uomini”, li cerca obbedienti e coraggiosi, capaci anche di sfidarlo se necessario, e queste sono proprio le doti del “suo” timoniere, quel Mauro Pelaschier, poi divenuto un’altra leggenda di questo sport.
Un libro nel libro è il racconto di come Ricci affina le doti che lo portano a diventare un campione, sin da bambino quando sul litorale romagnolo a bordo dei pescherecci impara i primi rudimenti della vela, poi le lunghe battute di caccia immerso nella natura dei boschi pugliesi o del Pollino, dove affina i “sensi”, impara a percepire il linguaggio della natura. Perché oltre alla determinazione, all’autostima che trasuda in tutto il suo racconto, Ricci soprattutto ama il mare e il vento, ama navigare e sentirsi con esso una sola cosa. Insegue una navigazione dopo l’altra, di sponda in sponda tra vittorie e sconfitte (rovescio della stessa medaglia), ma la meta finale, è non tradire mai se stessi e la propri passioni. Solo così con o senza una vela “Azzurra” si può arrivare al cielo, seppure il destino giochi la sua parte e bisogna saperlo assecondare, “La vita – scrive – è come una palla da biliardo gettata a caso contro una sponda: rimbalza, picchia negli spigoli, s’arrotola sugli effetti, non sa dove andrà, né lo sai tu”.