Uno spietato j’accuse rivolto a Internet ed alle Internet company, un grido d’allarme forte e chiaro rivolto al nostro Parlamento ed ai regolatori europei ed una meravigliosa ode alla televisione italiana, per trent’anni culla dei diritti fondamentali, della concorrenza e della legalità. Può essere riassunta così la relazione che il Presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri ha reso, lo scorso 15 luglio, davanti alla Commissione Trasporti e comunicazioni della Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema dei servizi media audiovisivi in corso.

Una relazione quella del presidente Mediaset come l’intera indagine conoscitiva condotta dal Parlamento, sin qui, rimasta in cono d’ombra mediatico e, invece, straordinariamente importante per il futuro del sistema dei media nel nostro Paese e, con esso, per quello della nostra democrazia.

“Come si fa a fare i delfini nella vasca degli squali?” ha chiesto il Presidente di Mediaset ai componenti della Commissione parlamentare. I delfini, naturalmente, sono – nella prospettiva di Confalonieri – quelli di Mediaset mentre gli squali, inutile dirlo, sono Google, Facebook e gli altri grandi cosiddette ‘Over the top’. “Come si fa a competere equamente, se tutto quello che è Internet è sregolato e non ci sono gli strumenti per garantire un confronto competitivo equilibrato in cui tutto quello che è uguale sia disciplinato nello stesso modo? Come si fa a difendere e sviluppare il proprio modello di business, se gli operatori globali rosicchiano i pilastri che reggono l’industria audiovisiva ?”.

Sono riflessioni e considerazioni straordinariamente importante sulla asimettria regolamentare che, certamente, esiste nel nuovo sistema mediatico ma fa sorridere che a parlare di delfini costretti a nuotare con gli squali o di concorrenti impossibilitati a competere ad armi pari sia proprio il presidente del gruppo televisivo che ha regnato incontrastato nel nostro Paese per oltre un trentennio grazie ad un innegabile ed indistricabile intreccio di relazioni politiche ed economiche e, soprattutto, al conflitto di interessi per antonomasia.

E alle parole del presidente delle tv dell’ex Cavaliere, dell’ex presidente del Consiglio, dell’ex Senatore, di uno degli uomini che più a lungo hanno dominato la scena politica nazionale, fanno eco quelle di Deborah Bergamini, onorevole di Forza Italia che condivide e rilancia la posizione del presidente del Gruppo del suo presidente [Silvio Berlusconi, ndr]: “Sicuramente la diagnosi di una mancanza di concorrenza equa è una diagnosi corretta. L’abbiamo visto molto bene. Mentre il settore televisivo è andato progressivamente verso una iper-regolazione per tante ragioni che non sto qui a ripercorrere e che non è solo un fenomeno italiano, dall’altra parte c’è stata una progressiva anarchizzazione del web. Si ha paura di normare sul web, perché, non appena si prova a dire che si norma sul web, scatta la reazione, quella sì estremamente virale, del «state violando la democrazia»”.

Una storia trita e ritrita, già sentita decine di volte, il web come il farwest, il web anarchico, il web pirata, il web che cannibalizza gli investimenti altrui ed ora, persino, il web che tiene in ostaggio i regolatori europei, minacciando di metterli alla berlina come anti-democratici se si azzardano a regolamentarlo.

Ma non basta.

Il presidente di Mediaset mette a confronto anche l’attendibilità dell’informazione trasmessa in tv contro quella che corre in Rete e, naturalmente, dal confronto la seconda esce sconfitta e distrutta: “Nel rumore di fondo della rete, in cui l’attendibilità delle fonti è incerta, in cui è assente, per espressa ammissione dei responsabili e degli Over the Top, qualsiasi responsabilità da editori, la credibilità dei marchi dell’informazione e la consuetudine di veridicità che sta insieme alle testate giornalistiche televisive garantiscono quello che gli anglosassoni chiamano trust, che è al tempo stesso fiducia, credibilità delle fonti, presenza di professionisti responsabili. 
In sostanza, in tv «ci si mette la faccia» e si viaggia nel rispetto di leggi e codici deontologici: la diffamazione è punita, la rettifica è obbligatoria, i minori devono essere preservati da utilizzi strumentali e la molteplicità delle voci è garantita per legge.”.

Come dire che chi fa informazione in tv ci mette la faccia mentre altrettanto non accade sul web e che la televisione garantirebbe il pluralismo – complici le regole – mentre la Rete no.

Difficile ipotizzare quali saranno le conclusioni cui perverrà il Parlamento all’esito dell’indagine conoscitiva in corso ma, considerata la centralità delle questioni sul tavolo, c’è da augurarsi che le audizioni che verranno e l’attività della Commissione si ispiri ad un approccio diverso rispetto a quello che ha – forse comprensibilmente – segnato l’audizione del presidente di Mediaset.

Non è “crocifiggendo” Internet che si scrive il futuro e neppure ipotizzando di estendere all’ecosistema online le regole che sin qui hanno governato il sistema della televisione italiana e che non rappresentano certamente un esempio virtuoso di una disciplina in grado di garantire lo sviluppo dei media a servizio di una società pluralista, democratica e civile.

E’ innegabile che ci sia un problema di regolamentazione dei nuovi media ed è altrettanto innegabile che – come il presidente Confalonieri sembra ritenere – il problema deve essere affrontato a livello sovrannazionale perché sovrannazionale è il respiro del fenomeno e del mercato ma, nell’affrontarlo, serve equilibrio, consapevolezza e capacità di ammettere gli errori del passato e di errori, nel governo della televisione e, più in generale, del sistema dei media, in Italia, se ne sono commessi davvero tanti.

Tornare a fare gli stessi errori nell’era di Internet sarebbe imperdonabile.  

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