Una premessa a scanso d’equivoci: se è vero che comunicare è sempre agire [Austin 1962; Searle 1969], quando parliamo di comunicazione politica dobbiamo intenderci sul significato che diamo al verbo agire. Se con agire intendiamo gli effetti sui destinatari (agenda setting, clima d’opinione, propaganda, finanche al comportamento di voto), allora non v’è dubbio alcuno: essere a proprio agio sotto i riflettori (compresi quelli 2.0) è indispensabile. Ce lo insegna la pubblicità, la cui storia è ben più antica dell’avvento dei moderni mass media. Ma se con agire intendiamo l’agire politico, ossia l’implementazione di politiche pubbliche volte a promuovere il benessere di una società (o a contenerne i mali), allora saper comunicare è condizione necessaria (ditelo a Monti), ma non sufficiente.
D’altro canto, che tra il dire e il fare ci sia di mezzo un “e il” di proporzioni ciclopiche, presto o tardi se ne sono accorti tutti e tre i leader di cui intendo parlare, a proprio modo pronti all’outsourcing delle colpe da mancata promessa. Berlusconi non ha mai potuto soffrire i “legacci” della democrazia, e per questo, a turno, se l’è presa col presidente della Repubblica del momento, con i padri costituenti, con la Costituzione stessa, con la magistratura, in una parola con i comunisti. Curiosamente, mai un accenno (se non nel verso contrario a quanto ci si sarebbe legittimamente attesi da un premier di un paese sano) alla corruzione, al voto di scambio, alla criminalità organizzata,…
Ma anche Grillo, mutatis mutandis, ha dimostrato assai presto di non essere a proprio agio nel passaggio tra la prima e la seconda radice della parola comunic-azione: ha invocato a più riprese la maggioranza assoluta dei voti per poter governare l’Italia e, più di recente, è giunto a minacciare il ritiro in caso di sconfitta. Vi ricorda qualcuno?
E Renzi? Giusto ieri, punto sul vivo, il “Nostro di Firenze” ha scelto di passare al contrattacco. Come? Sposando quello stile comunicativo sempre in precario equilibrio tra Fantozzi, il commissario Auricchio e Flavio Briatore che, a quanto sembra, ormai ci dobbiamo portare appiccicato come il tatuaggio del nome di una ex: ha deciso di lanciare l’ennesimo sito Internet. Da cui l’ennesimo hashtag renziano: “millegiorni“. Geniale. Dicono che Baglioni, appresa la notizia durante uno dei sui tour in Sudamerica, abbia azzannato un pipistrello sputandone la testa sulle groupie delle prime file.
Ma come comunicano parole e numeri alla mano i tre leader? Per questioni di spazio, tratterò separatamente vecchi e nuovi media, cominciando proprio da questi, e più precisamente da Twitter. Le analisi e i relativi grafici (inseriti nella pagina) sono estratti da un lavoro svolto in collaborazione con Matteo Pisciotta, anche lui dell’Università di Torino.
Misurato come numero di follower, il successo è appannaggio di Grillo, incalzato da un Renzi in crescita. Berlusconi, lontanissimo, soffre le scelte strategiche kamikaze del proprio staff, che apre un account di anno in anno, ostacolando la fidelizzazione (fig. 1).
Passando al modo con cui si usa Twitter, lo scenario cambia drasticamente (fig. 2): Berlusconi, e in misura ancora superiore Grillo, non producono contenuti originali, ma si limitano quasi sempre a riproporre contenuti altrui (o link a contenuti prodotti altrove): la quota di retweet per B. è pari al 70,4% mentre per Grillo sale addirittura all’82,6%. Va detto, inoltre, che la quantità di messaggi “cinguettati” dai due leader si colloca ben oltre la soglia che siamo comunemente abituati a definire spam (57 tweet/giorno per B.; 38 tweet/giorno per Grillo). Renzi, al contrario, si distingue per un uso accorto, e per di più personale, del mezzo (il che non corrisponde a un giudizio di valore positivo sul suo operato): “solo” 3 tweet al giorno, messaggi in real time, spesso con documenti fotografici, limitato ricorso ai retweet (appena 11,4% sul totale).
Quanto appena detto trova un’ulteriore conferma anche sul piano dei feedback con gli altri utenti: lo staff di B. non se ne cura minimamente. Altrettanto fa Grillo, che resta fedele all’unidirezionalità tipica del blog. Renzi è dunque l’unico ad avere una qualche forma di interazione (fig. 3). E anche se il sapore di #matteorisponde non è troppo diverso da un hamburger di autoritarismo personalistico in salsa 2.0, è innegabile che abbia presa, in un paese tristemente allenato a vedere una parte consistente della classe dirigente immune all’imperativo morale di rispondere alle istanze provenienti dal popolo.
In conclusione, se al momento numericamente parlando l’opinion leader di riferimento tra i tre politici presi in esame rimane Grillo, a livello strategico quello meglio attrezzato in funzione della sintassi del mezzo è certamente Renzi. Berlusconi, almeno qui, non pervenuto.