Guardando a sud, dal centro di piazza del Duomo, è possibile scorgerne le fiamme, anche se soffocate fra grattacieli e auto in movimento. E’ il monumento eretto all’arma dei carabinieri, che oggi, 3 settembre, ha ospitato la commemorazione per l’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ma è un monumento che non ha mai messo timore a mafiosi e ‘ndranghetisti cittadini che, al contrario, hanno eletto piazza Diaz uno dei loro luoghi preferiti. A 50 metri da piazza del Duomo, cinta per un lato dalle mura dell’Arcivescovado, fra boutique, bar e sedi di compagnie aeree, eppure con quell’aria un po’ squallida data dai numerosi night club che popolano il distretto.
Qui, fra marmi e broccati dell’hotel Plaza, si radunavano fin dagli anni ’80 i mafiosi del mandato di Santa Maria del Gesù. Stefano Bontate, per intendersi, rappresentato a Milano da Vittorio Mangano, portato dalla Sicilia ad Arcore da Marcello Dell’Utri, che all’epoca faceva coppia fissa con Francesco Mafara. Erano i suoi uomini, Riccardo e Franco Cozzolino, che ogni venerdì all’Hotel Plaza trattavano partite di morfina pura, grazie alla compiacenza dell’allora proprietario, Antonio Virgilio, che non ne registrava la presenza. Grazie a questa complicità, Mafara riusciva a raffinare, giù in Sicilia, 50 chili di eroina la settimana, i cui proventi venivano riciclati poi a Milano. Era il 1983 quando l’operazione San Valentino svelò per la prima volta il contributo dato dai colletti bianchi alle organizzazioni mafiose.
Piazza Diaz non fa gola solo ai mafiosi. Dall’altra parte della Piazza, al bar-ristorante Samarani comandava infatti la ‘ndrangheta. Amministratore unico risultava nel 1997, Giovanni Morabito, noto come u’ pantufuluni, legato al superboss Giuseppe Morabito u’ tiradrittu e cognato di Domenico Mollica. Quando, al termine dell’inchiesta Deep Cleaning, il pm Laura Barbaini ne chiese l’arresto, u’ pantufuluni si diede alla latitanza, terminata nel 2002 grazie all’assoluzione dall’accusa di associazione mafiosa. Un’assoluzione che, però, non pose fine ai suoi guai giudiziari dal momento che il suo nome poi ricomparve nell’inchiesta For a King, sulla presenza dei Morabito all’Ortomercato.
Passano gli anni, cambiano i nomi, ma non cambia la sostanza. Dopo il fallimento giudiziario dell’inchiesta Deep cleaning, il Samarani caffè, con tutto il suo passaggio di personalità e le possibilità che offriva di riciclaggio e relazioni, continua a far gola alle organizzazioni criminali. Nel luglio del 2012 il gip Anna Maria Zamagni, su istanza del pm Claudio Gittardi, ne ordina nuovamente il sequestro. Questa volta era finito nelle mani dei fratelli D’Agosta, i gemelli Carmelo e Gianfranco, da Vittoria, nel Ragusano e già condannati rispettivamente per associazione mafiosa e traffico di droga.