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Sotloff, “nei video Isis non parla a Obama ma ai potenziali jihadisti occidentali”

Secondo Stefano Ferracuti, professore di Psicologia clinica a La Sapienza di Roma, le immagini dei due giornalisti americani decapitati non sono un messaggio di minaccia agli Stati Uniti ma una mossa per convincere giovani musulmani a unirsi alla lotta: "I seguaci del Califfo sono maestri di persuasione e lavaggio del cervello, sia sulle vittime sia nella costruzione della loro propaganda"

Si rivolgono a Barack Obama, decapitano giornalisti americani in mondovisione e chiamano quei video “Messaggio all’America“. Ma il loro scopo non è lanciare una sfida agli Usa. L’obiettivo nascosto dietro i filmati della decapitazione dei giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff è convincere i giovani musulmani occidentali a prendere un aereo e raggiungerli nell’autoproclamato Califfato Islamico in Siria per unirsi alla jihad. “L’Isis vuole reclutare giovani in occidente: i video delle decapitazioni sono destinati a loro, non agli americani”, spiega Stefano Ferracuti, professore di Psicologia clinica all’Università La Sapienza di Roma. 

Gli ultimi pensieri di un condannato a morte
Giovani occidentali, quindi, come target dei video dell’Isis. Perché i filmati delle decapitazioni, secondo Ferracuti, voglio provocare un chiaro “condizionamento psicologico nell’osservatore”. E parlando di pressioni psicologiche, rimane difficile evitare di chiedersi anche cosa sia passato nella testa dei due giornalisti americani mentre erano decapitati di fronte alle telecamere dello Stato Islamico. Gli occhi fissi in camera. Uno sguardo che non tradisce emozioni. Una lucidità e freddezza tanto nella compostezza del corpo quanto nel tono della voce. Sono reazioni “di chi cerca dignità negli ultimi minuti della sua vita – continua l’esperto de La Sapienza – Cosa avrebbero dovuto fare? Urlare scompostamente sapendo che la loro immagine sarebbe poi stata messa su Youtube? Di fronte alla morte, la prima reazione psicologica è proprio quella di mantenere la dignità”. Ma mentre “se uccidi una persona negli Stati Uniti metti in conti che potresti ricevere la pena capitale” e questo porta i condannati a morte negli States a elaborare “la loro fine”, secondo Ferracuti nel casi dei due sequestrati la loro compostezza è “certamente stata determinata anche da altri fattori esterni”. 

Un mix di Sindrome di Stoccolma e lavaggio del cervello
I due video che nelle ultime settimane hanno mostrato un boia dello Stato Islamico decapitare due giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff riprendono due uomini apparentemente composti. Eppure tanto il freelance del The Times quando il collaboratore di France Presse hanno accanto il loro carnefice con un coltello sguainato in mano; entrambi sono in ginocchio e indossano tute arancioni che ricordano quelle dei prigionieri di Guantanamo. Che cosa ha portato James Foley e Steven Sotloff a sembrare così calmi prima della loro esecuzione? “Un mix di sindrome di Stoccolma (che porta ad identificarsi con l’aggressore e collaborare con lui) e condizionamento psicologico dei sequestrati durato mesi e mesi”.

Entrare nella psicologia del boia
James Foley era stato sequestrato il 22 novembre 2012. Steven Sotloff dal 2013. I seguaci di al Baghdadi hanno avuto “tutto il tempo per fargli un vero e proprio lavaggio del cervello – continua il professore de La Sapienza – Non dobbiamo dimenticare che i miliziani dell’Isis sono gli stessi che convincono un bambino a indossare una cintura esplosiva e diventare kamikaze. Siamo di fronte a professionisti del condizionamento delle menti”. Altro nodo centrale, il fatto che “non sappiamo se i due americani siano stati decapitati da vivi, o siano stati prima uccisi in altre maniere e poi decapitati”, visto che al discorso dei sequestrati segue un fermo immagine che mostra i due giornalisti già morti. Aspetto non da poco, secondo Ferracuti, che dovrebbe essere valutato da un medico legale proprio per entrare nella psicologia dei boia jihadisti.  

Torturare l’ostaggio e obbligarlo a collaborare per rassicurare i nuovi jihadisti 
Condizionamento che lo psicologo de La Sapienza rivede anche e soprattutto nell’effetto che i video vogliono provocare nei giovani occidentali che vedranno questi video e “ne saranno influenzati”. La tecnica “è molto raffinata: si parte col torturare l’ostaggio e farlo vivere per mesi in condizioni brutali” e iniziare a plagiare la sua mente. Obiettivo dichiarato: mostrare un video in cui sia chiaro il livello di forza tra la vittima e il carnefice, oltre ad un certo rassicurante “livello di collaborazione” da parte dell’ostaggio, generato proprio dopo mesi di torture e tecniche di “persuasione e lavaggio del cervello”. 

Esecuzioni riprese come film americani
Questi secondo Stefano Ferracuti i tasselli per creare una vittima adatta ad essere ripresa dalla telecamera, una vittima che possa essere rassicurante da sottomettere per le nuove leve, che saranno quindi spinte ad unirsi ai miliziani e provare la stessa esperienza di boia e combattenti. Altro punto che spinge a vedere i video proprio come uno strumento propagandistico destinato alla reclutamento di giovani occidentali, il modo in cui i filmati sono registrare. Entrambe le esecuzioni sono riprese da almeno due telecamere e mostrano gli ostaggi da diverse angolature, alternando primi piani a larghe vedute che incorniciano gli americani nel paesaggio desertico alle loro spalle. Un’esecuzione che sembra una scena da film americano e “rendono il reclutamento di giovani occidentali ancora più facile”.