Nel Medio Oriente si gioca una partita a scacchi tridimensionale con le teste degli ostaggi. A giocare, solo apparentemente, è lo Stato Islamico. Contro tutti. I vecchi sponsor della guerra per procura siriana, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e così via; il governo di Damasco e tutti i suoi alleati Russia, Iran e in fondo anche la Cina, che non ha mai visto di buon occhio l’intervento armato statunitense in Siria; gli americani e gli ‘alleati’ europei che assistono sbigottiti al taglio delle teste dei loro giornalisti nel deserto; tutti i gruppi armati coinvolti nella guerra siriana, dai Sunniti di al Nusra fino ai miliziani sciiti; l’esercito curdo ed il Pkk, organizzazione ancora considerata terrorista dalla Turchia; tutte le nazioni limitrofe dalla Turchia fino ad Israele. Persino al Qaeda si è schierata contro il Califfato, perché le ha rubato il primato che dall’11 settembre deteneva, la coppa dei campioni armati del fondamentalismo islamico. Unici sostenitori sono alcuni combattenti talebani che hanno dichiarato di voler migrare verso la Siria e l’Iraq per entrare a far parte dell’esercito del nuovo Califfo, rispondendo alla sua chiamata alle armi per difendere il popolo sunnita contro i nemici. E i giovani musulmani che un po’ da tutto il mondo sono attratti da questa nuova Jihad.
Ma il fronte compatto è solo un’illusione: lo Stato Islamico in realtà si è nutrito delle rivalità che esistono tra tutti questi giocatori e continua a farlo mettendo in evidenza le contraddizioni di una guerra per procura ormai fuori controllo. Poche settimane fa, i sauditi per la prima volta dal 1978 hanno organizzato un incontro diplomatico con gli arci-nemici iraniani. A terrorizzare entrambi sono le truppe di Abu Bakr al Baghdadi. Martedì in Arabia Saudita è stata scoperta una cellula di ben 88 persone che si pensa facciano parte dello Stato Islamico pronta a lanciare un attacco contro le infrastrutture petrolifere del paese. E’ paradossale dal momento che nel lontano 2011, quando al Baghdadi ed i suoi pochi seguaci si trasferirono in Siria per usare quel conflitto quale trampolino di lancio del loro ambiziosissimo progetto, i sauditi erano tra gli sponsor più generosi dei gruppi armati sunniti. Discorso analogo vale per gli sceicchi del Kuwait e del Qatar.
Il Califfato sa bene quanto sia fragile l’alleanza tra nemici storici come l’Iran e l’Arabia Saudita o la Turchia ed il Pkk, acerrimi nemici da sempre, o l’amministrazione di Obama e il governo di Assad a Damasco. Sa anche quanto poco popolare sia per gli occidentali l’idea di rimandare le truppe in Medio Oriente e l’orrore che chi ha memoria potrebbe provare se americani ed inglesi raggiungessero un accordo con Assad per bombardare Raqqa, la capitale dell’esercito dello Stato Islamico e le sue altre postazioni. L’opinione pubblica non sarà facilmente manipolata come nel 2003 quando Bush e Blair ci fecero credere che Saddam Hussein era alleato di al Qaeda e in 45 minuti poteva lanciare un ordigno atomico su una capitale europea. Tutti sono consapevoli che l’intervento armato in Iraq ha aperto il vaso di Pandora e destabilizzato l’intera regione, ripeterlo peggiorerà la situazione. Il taglio delle teste e gli ultimatum alla potenza militare più grande al mondo da parte di un esercito fai da te se non sono frutto della demenza dei vertici del Califatto devono rientrare in questa logica: sfruttare tensioni e odi storici tra nazioni per metterle sotto scacco.
Come potranno i sauditi scendere in campo a fianco degli iraniani senza fare concessioni importanti alla popolazione sciita nel loro paese ed apparire ‘deboli’ agli occhi della popolazione sunnita? E che dirà Israele alla propria popolazione quando si ritroverà alleata di Teheran contro l’avanzata dell’esercito dello Stato Islamico? La sfida è chiaramente contro tutti, inclusi i gruppi armati sunniti con i quali fin dall’inizio l’IS ha combattuto per strappar loro potere. Tra questi c’è al Nusra, succursale di al Qaeda in Siria, con una sezione del quale al Baghdadi creò Isis, lo Stato Islamico in Iraq e Siria, fondendo il vecchio Stato Islamico in Iraq. Colpisce che il 24 agosto ciò che rimane di al Nusra ha liberato Peter Curtis, un ostaggio americano, anche lui giornalista, rapito dal 2012. A negoziare il rilascio è stato lo stato del Qatar, uno degli sponsor di al Nusra. Così mentre lo Stato Islamico giustizia pubblicamente via internet i suoi ostaggi americani al Nusra li rilascia grazie all’intermediazione di stati che fino a pochi mesi armavano anche l’IS.
Su questo sfondo surreale cresce la popolarità del Califfo e del Califfato tra le popolazioni sunnite del Golfo. Su questo non c’è dubbio dato il traffico clandestino di futuri guerrieri alle frontiere e l’attività frenetica in rete. E se l’obiettivo dello Stato Islamico fosse ancora più ambizioso di quanto noi abbiamo fino ad ora pensato? Se invece di conquistare territorio pezzo per pezzo, come è successo fino ad ora, l’obiettivo fosse smascherare i giochi di potere delle varie potenze e dei giocatori sulla scacchiera del Medio Oriente per dimostrare alla gente semplice che stati, nazioni, famiglie ed individui sono solo pedine nelle mani dei potenti? Un messaggio scritto nel sangue, naturalmente con atti barbari commessi anche contro gli innocenti, anzi soprattutto gli innocenti, come i due giornalisti americani decapitati, per far credere al mondo che la responsabilità della loro morte non è del Califfato ma di Washington. Che invece di liberare i popoli dai tiranni ha finito per distruggere intere nazioni. Un’ipotesi surreale? Forse, ma che ben descrive l’assurdità dell’ultima guerra per procura della globalizzazione.