Peccato, però, che meno di un anno fa, quando oggetto della condanna a morte di Riina era il pm Antonino Di Matteo, dai vertici del Colle (come pure dalla maggior parte del Parlamento, dei sindacati e dalle associazioni di categoria) non arrivò mai alcuna telefonata al pm palermitano, neanche un messaggio, una lettera, una pacca sulla spalla: niente di niente. Un silenzio assordante, nei giorni in cui Riina auspicava un attentato spettacolare contro il magistrato palermitano.
Un silenzio che oggi, dopo il caso di don Ciotti, più che assordante appare rumoroso, oltre che ancora più incomprensibile. Possibile che il Colle ritenga di dover solidarizzare solo con alcuni dei condannati a morte da Riina? Possibile che al Quirinale non si rendano conto del pesante messaggio che si lascia distribuendo solidarietà e vicinanza utilizzando due pesi e due misure?
Possibile, anzi probabile. La Sicilia, forse l’Italia intera, è però un posto che nei suoi momenti delicati vive soprattutto di simboli, di segnali. Che sono positivi e luminosi quando vedono lo Stato unirsi vicino a don Ciotti. Diventano di segno completamente opposto quando lo stesso Stato (nella persona del suo più alto rappresentante) più che avvicinarsi ad un suo servitore sceglie la via del silenzio.