Una corte di Francoforte ha stabilito che i conducenti che lavorano con l'applicazione non hanno le autorizzazioni necessarie. La cooperativa di taxi che ha presentato l'esposto parla di "locuste della sharing economy" e accusa l'azienda americana di lavorare grazie ai soldi di Google e Goldman Sachs. Nonostante il rischio di sanzioni salate, la società continua la sua attività nel Paese. E in 24 ore l'app Uber Pop è salita nella top 10 dei download su iTunes
È il più severo bando – e il primo a livello nazionale – subìto da Uber nei suoi cinque anni di vita, nonostante la società che fa concorrenza ai taxi tradizionali non sia affatto nuova alle contestazioni legali. Ieri, una corte della regione di Francoforte ha stabilito che gli autisti che lavorano con Uber non sono in possesso delle licenze commerciali necessarie a trasportare passeggeri secondo le leggi nazionali e ha dunque temporaneamente vietato alla società americana di prestare servizio in Germania, con entrambe le applicazioni Uber (che mette in contatto utenti e noleggi con conducente) e Uber Pop (fra comuni cittadini). “La nostra preoccupazione principale è che, se è vero che la competizione è salutare, tutti giochino con le stesse regole”, ha detto Arne Hasse, portavoce della corte.
A denunciare Uber e Uber Pop per concorrenza sleale è Taxi Deutschland, una cooperativa di società di taxi tedesche che, fra l’altro, dispone di un’applicazione per smartphone non troppo diversa da quella americana. Dieter Schlenker, presidente della cooperativa, non va tanto per il sottile e definisce Uber “locuste della sharing economy“. Sul sito della cooperativa, Schlenker scrive che Uber “lavora con i miliardi di Goldman Sachs e Google (investitori di Uber, ndr), si traveste da start-up e si vende come un salvatrice della new economy. Ma non si assume alcuna responsabilità: i driver non sono controllati, non sono assicurati né ricevono salari fissi. Chi entra in una macchina affida la sua vita e la sua salute all’autista. Così perdono tutti, Stato, società e dipendenti”.
Naturalmente, Uber non ci sta, e ha pubblicato sul blog ufficiale un post dal titolo “Keep calm and Uber on” nel quale, dopo aver rivendicato che sostiene che “analizzerà attentamente il contenuto della decisione preliminare della Corte distrettuale di Francoforte, farà appello e si difenderà vigorosamente dalla richiesta avanzata da Taxi Deutchland”. Uber dichiara anche che proseguirà le sue attività in Germania, nonostante violare la restrizione imposta dal tribunale possa costarle una multa di 250.000 euro a corsa, o la detenzione fino a sei mesi dei suoi dipendenti locali. La sanzione, però, non è automatica: ogni singola violazione deve essere segnalata, e probabilmente Uber considera bassa l’eventualità di essere davvero punita. Un portavoce di Taxi Deutschland ha già dichiarato che la cooperativa è pronta a raccogliere le prove e a procedere con le denunce.
Visto che in tutta Europa le licenze per i taxi possono costare anche 200.000 euro, non c’è da stupirsi che la categoria difenda con i denti l’esclusività del servizio, come ha dimostrato lo sciopero transnazionale di giugno. Dal canto suo, l’azienda americana non accenna a fermare la sua crescita: il sui valore stimato è arrivato a 17 miliardi di dollari oggi è presente in 205 città nel mondo, di cui oltre 100 negli Stati Uniti. Anzi, l’eco mediatica della sentenza del tribunale di Francoforte le sta facendo pubblicità: in un post di oggi, Uber scrive sul suo blog che l’applicazione Uber Pop è stata scaricata 3,6 volte in più rispetto alla settimana scorsa, arrivando nel giro di poche ore alla top 10 della classifica dei download su iTunes.