Tg Cronache, la rubrica che – nel primo pomeriggio – segue il TgLa7, quello che – fino al governo Letta, ma soprattutto in epoca berlusconiana – ha rappresentato per alcuni un baluardo d’informazione più o meno credibile, ha dedicato un servizio all‘intervento del governo sulla scuola; annunciato dal premier, come si sa, non con il consueto cinguettio, ma con un video che presenta un documento online di 136 pagine. Elementi imprescindibili e consueti: il tono enfatico – “una rivoluzione”; e l’”ascolto”: due mesi di confronto («a voi chiedo di essere protagonisti e non spettatori», annunciando la campagna d’ascolto «scuola per scuola» dal 15 settembre al 15 novembre) e un anno per «una rivoluzione».
Il servizio di La7 inizia e finisce in un istituto superiore di Milano, il Gentileschi. Interpellate tutte le componenti: il dirigente, un’insegnante, due studenti. Tutti entusiasti sostenitori del Passo dopo Passo. E si conclude con la stupita notazione che la Rete degli Studenti e molti docenti stanno convergendo su una giornata di protesta indetta per il 10 ottobre (i soliti fannulloni-bastian contrario, insomma). Questa è informazione imparziale.
In meno di due mesi, con agosto nel mezzo – da quando cioè fu sfornato l’altrettanto improvvisato ma evidentemente troppo aggressivo Piano Reggi – la miracolosa compagine di governo (la cui grande assente è ormai da troppo tempo il legittimo titolare di Viale Trastevere, Giannini) ha partorito l’ennesima riforma, naturalmente epocale. Pardon, non una riforma: “Vi propongo un patto, un patto educativo, non l’ennesima riforma, non il solito discorso che propongono tutti i politici”. “Noi diciamo basta ai precari e alla “supplentite”, ma ci vuole anche il coraggio di dire che si devono giudicare gli insegnanti e che gli scatti di stipendio devono essere sulla base del merito e non dell’anzianità”. La supplentite è quella fastidiosa malattia che per un inguaribile vezzo circa 700mila persone nel nostro Paese hanno praticato, a volte per moltissimi anni, subendo una precarizzazione non solo professionale, ma esistenziale. Masochisti o inguaribili egocentrici che siano, 148.100 di loro saranno assunti il prossimo settembre, per abolire le supplenze. Benissimo e speriamo, davvero.
Ma manca un dato. La ratifica di tutto ciò – per l’operazione «saranno necessari circa 3 miliardi di euro» – non avviene in Consiglio dei ministri; ma – come si diceva – con un video, eludendo qualsiasi forma di eventuale contraddittorio nonché la consueta tirata d’orecchie dalla Ragioneria dello Stato.
In attesa che nella Legge di stabilità – come previsto – vengano indicate le risorse disponibili per procedere a quello che Renzi ha definito “il più grande investimento sulla scuola degli ultimi 20 anni” (e, se queste cifre venissero confermate, il premier avrebbe ragione), ecco i punti critici del documento. Si tratta di una sorta di scambio: prendere o lasciare. In cambio della stabilizzazione dei precari delle graduatorie ad esaurimento la scuola dovrebbe accettare:
la rinuncia agli scatti di anzianità, per passare ad un sistema di valutazione-promozione, in cui i dirigenti scolastici diventerebbero i sacerdoti unici che cooptano la casta degli eletti. I docenti, valutati dai dirigenti, si renderanno disponibili al momento dell’assunzione alla mobilità non solo fuori dalla provincia, ma – se necessario – anche fuori dalla regione. Il tutto in una professione che ha indici di femminilizzazione altissimi.
Creazione di un Registro nazionale del personale, che riporterà le abilità di ciascuno, fissandole in un portfolio individuale su cui verranno conteggiati i presunti “crediti” professionali dei singoli. Portfolio e crediti daranno la possibilità ai dirigenti di cooptare nella propria scuola i nuovi assunti, ma anche di premiere il 66% dei “migliori”, che ogni 3 anni potranno così accedere ad uno scatto stipendiale di 60 euro.
Entrata a regime del Sistema Nazionale di Valutazione, per il quale si prevede un aumento del corpo ispettivo, indicato come funzione strategica (anche per questa spesa non sono indicate le risorse)
per realizzare, la “piena autonomia” scolastica, serve “schierare la squadra con cui giocare la partita dell’istruzione”, cioè chiamare presso la propria scuola docenti ed Ata che il dirigente manager, dopo “consultazione collegiale”, riterrà più adatti.
Ogni scuola dovrà sviluppare un piano triennale di miglioramento; il Mof ed altre fondi di finanziamento pubblico saranno legati all’esito del piano di miglioramento, in proporzione del quale i dirigenti scolastici riceveranno un aumento salariale.
È prevista una revisione degli Organi Collegiali (alla quale il Pd aveva già pensato, considerando la stesura del ddl Aprea-Ghizzoni)
Viene riproposta, secondo ilo stesso progetto Aprea-Ghizzoni, la scuola fondazione: la scuola “non ce la fa”. Quindi entrata delle risorse private per contributi alla scuola statale. L’entrata dei privati viene massicciamente favorita: laboratori (negli istituti professionali, ad esempio) non solo finanziati da privati, ma addirittura posseduti e gestiti da privati nell’ambito dell’istruzione pubblica.
Si sterza definitivamente verso il “saper fare”, molto più economicamente conveniente del “sapere”. Stages lavorativi (gratuiti) obbligatori alle superiori per tutti gli indirizzi. Sistematizzazione della “didattica lavorativa”: la scuola azienda, quando non la scuola fabbrica. “Scuola fondata sul lavoro” è il contraddittorio titolo di un capitolo del documento: certamente le richieste del mercato e delle imprese non saranno irrilevanti, se viene prevista la possibilità di un curriculum basato sulle esigenze del territorio. Pertanto, fine del concetto di apprendimento disinteressato e della cultura come viatico di cittadinanza consapevole.
Per la prima volta – p. 66 “il sistema di valutazione sarà operativo dal prossimo anno per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie” – la scuola paritaria viene promossa al rango di scuola pubblica. Meditiamo.
Soprassiedo sulla pastella in salsa modernista sul tema più tecnologia (sebbene noti un positivo mea culpa sugli investimenti per la Lim) e inglese: i livelli delle competenze dei quindicenni alfabetizzati nella comprensione del testo e in letto-scrittura continuano ad essere tra i più bassi d’Europa. E’ di oggi il dato che il 63% dei 16-18enni nel nostro Paese sono a rischio di abbandono e poco più bassa è la percentuale relativa agli studenti dai 14 ai 16 anni.
La contropartita rispetto alla presunta (ed auspicabile) stabilizzazione del precariato, come è evidente, è particolarmente pesante. Del resto il Pd non ha mai fatto mistero, da quando è nato, di quali fossero le proprie intenzioni rispetto alla funzione che attribuisce alla scuola. L’accesso al lavoro per più persone comporterebbe dunque una rinuncia di fatto ad una serie di principi e di diritti di e per tutti e – soprattutto – una modifica sostanziale al progetto di scuola della Costituzione.