Eccola come tutti gli anni la riforma. Ogni anno il rito si ripete. Con la fine dell’estate arrivano il meeting di Comunione e Liberazione, il festival del cinema di Venezia, le feste dell’Unità e, puntuale, la promessa di una scuola nuova, senza precari, con i personal computer e i tablet in ogni classe connessi, con i docenti formati, più inglese e più informatica, più soldi. Dal primo governo Berlusconi passando da Dini, Prodi, D’Alema uno e due fino a Monti, Letta e Renzi, sono state presentate tante riforme quanti i ministri dell’istruzione: dieci in vent’anni. A dire il vero Maria Chiara Carrozza non aveva pensato ad una vera e propria riforma ma aveva parlato di una “Costituente”, chiaramente mai realizzata e nemmeno ripresa in mano dall’attuale ministro Stefania Giannini. In passato avevamo visto anche gli Stati Generali con Letizia Moratti ma ogni riforma presentata è stata cancellata dal Governo successivo o attuata solo in minima parte. E così il progetto italiano di scuola, nonostante gli appelli dell’Ocse, è svanito. I precari ogni anno fanno la loro coda agli ex provveditorati. I supplenti attendono la chiamata dalla scuola. E gli studenti cambiano ogni anno insegnante. La riforma è sempre attesa ma non arriva mai. Una gravidanza d’idee senza alcuna nascita di una seria riforma capace di mettere mano, una volta per tutte, alla scuola media, anello debole del sistema; al sistema di reclutamento dei docenti; alla formazione di maestri e professori; all’esame di maturità, all’insegnamento qualificato dell’informatica e dell’inglese; al ruolo della scuola materna, Cenerentola di ogni riforma. “Riformite”, accusava Renzi quando non era ancora premier. Ma le sue modifiche per il sistema della scuola prima sono saltate dal consiglio dei ministri, e poi sono rientrate in “passodopopasso”, il sito web dove la “rivoluzione renziana” è  stata illustrata.

Bisogna partire da Francesco D’Onofrio, nominato dal Cavaliere nel suo primo Governo per ascoltare le prime promesse da meeting. Il 23 agosto del 1994, D’Onofrio dal palco di Cl spiega: ”Il consiglio dei ministri di venerdì prossimo è giustamente atteso perché sarà il primo appuntamento dove verranno fuori gli orientamenti della finanziaria e del governo sul mondo della scuola. Con Berlusconi ho concordato di fare una relazione su obiettivi per una riforma organica della scuola italiana. Sarà la prima riforma autentica dopo quella di Gentile del 1923”. In tema di partecipazione D’Onofrio aveva anticipato persino il rottamatore fiorentino: ”Una volta la scuola italiana attraverso un filo ideale partiva dal ministro, passava attraverso i provveditori agli studi, finiva ai docenti, agli alunni ed al personale amministrativo. Ebbene, io dico che questa riforma per essere veramente tale dovrà innanzitutto ribaltare questo principio e cioè l’input dovrà partire dai docenti, dagli alunni, dal personale amministrativo, passare per i provveditorati agli studi e arrivare al ministro”. Nella sostanza il ministro aveva pronta la riforma delle medie superiori e quindi l’innalzamento da 14 a 16 anni dell’obbligo scolastico; l’introduzione del tempo pieno; una serie di convenzioni con tutti i ministeri tra cui quella con le Finanze per ”costruire’” fin dai banchi della scuola un contribuente-modello. Alla base della ”grande riforma” c’erano naturalmente l’autonomia didattica e finanziaria degli istituti. 

Il 30esimo ministro dell’istruzione della Repubblica, Giancarlo Lombardi, nominato da Lamberto Dini, durò un anno e quattro mesi e fece in tempo a fare ben poco ma non mancò di informare gli italiani che in tasca aveva anche lui una riforma. Il 22 marzo 1996 a Torino durante una conferenza all’Unione Industriale disse: ”Se riuscirò ad avere ancora qualche mese da ministro, cercherò di fare la riforma dell’autonomia scolastica, incentrata sulla figura del preside. Questi dovrà avere mani libere nell’utilizzo delle risorse e un’adeguata soddisfazione personale per l’incarico che avrà; inoltre la scuola dovrà potersi organizzare in proprio”. Il 17 maggio 1996, dopo la vittoria dell’Ulivo, lasciò il posto al governo Prodi. 

L’arrivo di Luigi Berlinguer (classe 1932) cambiò il clima. Almeno per qualche mese e almeno a sinistra. Il nuovo inquilino di viale Trastevere chiaramente aveva pronta la soluzione per la scuola italiana e non mancò di annunciarla dal palco di Cl a Rimini, il 23 agosto del 1996: “Il governo presenterà in autunno il progetto per la riforma della secondaria superiore”. In un’affollata conferenza stampa al meeting il compagno Berlinguer spiegò che si sarebbe fatta una legge quadro di pochi articoli per scandire i 10 anni dell’obbligo con un biennio conclusivo (a 14 e 15 anni) diverso da quello attuato fino ad allora”. Il “compagno B” non disdegnò il Meeting nemmeno l’anno successivo e il 29 agosto del 1997 tornò dai fedeli di don Giussani per annunciare il via libera al disegno di legge per la riforma della maturità: “Ci sono tanti studenti che aspettano. Si può fare in pochissimi giorni. Gli altri due disegni di legge che devono essere approvati il più rapidamente possibile sono quelli relativi all’allungamento dell’ obbligo scolastico a 16 anni e quello sulla parità”. Da un’azienda, la “Antibioticos” di Torino, il ministro annunciò invece la rivoluzione digitale: mille miliardi da spendere in quattro anni per fornire le scuole italiane di computer. Il ministro spiegò che il piano d’informatizzazione avrebbe interessato 15mila scuole di ogni ordine e grado. Nella prima fase sarebbero stati installati due personal computer multimediali nella sala-professori ad uso degli insegnanti, poi nel giro di quattro anni, una media di dieci computer in ogni istituto. Non solo. Nella proposta di legge si prevedeva anche l’ avvio di un progetto pilota nelle scuole elementari per l’insegnamento della lingua inglese con il computer. Berlinguer passò alla storia per la riforma dei cicli poi puntualmente cancellata dalla Moratti con il secondo governo Berlusconi e con tanto di sdegno del compagno Berlinguer. 

Ma prima della Moratti, è toccato al ministro Tullio De Mauro durato in carica con Amato un anno e due mesi. Il professor De Mauro non passò da Rimini ma dalla festa dell’Unità di Bologna fece in tempo ad illudere i maestri parlando della necessità di “un piano pluriennale che porti un po’ alla volta le retribuzioni degli insegnanti ai livelli medi dei colleghi europei”. 

In Romagna tornò invece Letizia Moratti, due mesi dopo essere stata nominata ministro. Chiaramente con una nuova idea rispetto al lavoro precedente: “La riforma della maturità va fatta. Un primo passo potrebbe essere quello di una commissione di esame composta dal collegio dei docenti con un membro esterno, per garantire la correttezza delle procedure, sul modello dell’attuale scuola media”. La Moratti partorì gli Stati Generali dell’istruzione da dove snocciolò cifre a favore della scuola: 210 miliardi per il 2002 per la valorizzazione degli insegnanti e altri 68 miliardi per l’aggiornamento. “Inoltre nel triennio successivo – spiegò il ministro – le risorse complessive ammonteranno a una cifra che va da 15mila a 19mila miliardi. Nessun governo ha mai presentato con tanto anticipo un piano quinquennale di investimenti di queste dimensioni sulla scuola”.

Nel 2002, la Moratti lanciò persino un opuscolo dal titolo “Una scuola per crescere”stampato in due milioni e mezzo di copie, allegato a due settimanali, suscitando non poche polemiche da parte dell’opposizione: un vademecum, in nove capitoletti, spiegava nel dettaglio i vari articoli del disegno di legge di riforma e si concludeva con il testo integrale del provvedimento. Molte proposte sempre sentite e mai realizzate: dalla formazione iniziale e continua dei docenti, all’alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche

Nel 2006, arriva Giuseppe Fioroni con il Prodi II e l’idea di maturità della Moratti viene cancellata. Ecco il nuovo progetto di riforma dell’esame di maturità: ”Una commissione mista, con membri esterni per la metà, ed una metodologia di scelta delle materie e di bilanciamento con superamento dei debiti”. Fioroni ripartì da una circolare che in pratica “azzerava” i punti della precedente riforma. Con buona pace della Moratti. 

Tempo due anni e per il Popolo della Libertà è nominata Mariastella Gelmini, il più giovane ministro dell’istruzione di questo ventennio. La pupilla di Berlusconi non manca a fine agosto 2008 l’appuntamento di Rimini. Lo slogan stavolta è: fine del precariato per gli insegnanti e più tirocinio per arrivare in cattedra attrezzati ad affrontare gli studenti. Prima mossa: mandare in soffitta dopo non molti anni di vita le scuole di specializzazione per l’insegnamento, liquidate dalla Gelmini come ‘”una fonte di precariato”. E sul settimanale Gioia la Gelmini in quegli anni annunciava un’altra rivoluzione: “Cambierò la scuola media. C’è un deficit di formazione. Servono più italiano, più matematica, più inglese. Ho insediato una commissione che studia la riforma. Voglio farla presto”. Come la Giannini anche la Gelmini affrontò il tema del merito: “Ritengo decisivo un sistema di valutazione che abbia scopi d’incentivazione (anche economica) del merito e non certo finalità sanzionatorie. Abbiamo già avviato progetti di valutazione su base volontaria e continueremo a farlo, convinti che senza valutazione, riconoscimento e premio dei meriti non possa esserci un effettivo miglioramento della scuola e dell’università”. 

Nel 2011 è la volta di Francesco Profumo con “Super Mario” Monti a palazzo Chigi. Il nuovo ministro all’istruzione cambia registro. Punta ad avere, almeno per i primi mesi, un profilo basso. E il 13 gennaio 2012 dichiara: “Non ci sarà nessuna riforma organica, ne abbiamo avute troppe, è il tempo della semplificazione”. In realtà Profumo ha in mente un’altra riforma e tre mesi più tardi la annuncia con un messaggio inviato ad un convegno a Napoli: “Il 2012 sarà un anno palestra, in cui dovremo portare a compimento la riforma del sistema accademico, allenarci a cambiamenti e a competere sul mercato europeo e internazionale”. Da notare la svolta digitale. Profumo all’inaugurazione dell’anno scolastico nel settembre 2012 aveva annunciato la grande rivoluzione: tutte le classi scolastiche delle medie e delle superiori avrebbero dovuto avere un computer e ogni insegnante della Puglia, Campania, Sicilia e Calabria, un tablet. Incontrando i bambini della scuola primaria e media “Enrico Fermi” di Monterosso, aveva detto: “Daremo a tutti gli studenti e a tutte le classi un tablet. I libri sono troppo cari”. 

L’unica a non alzare troppo il tiro è stata Maria Chiara Carrozza che comunque il 23 agosto 2013 a Rimini ci va: “Stiamo lavorando a un provvedimento sulla scuola”. Durante il suo mandato è il primo ministro a parlare di organico funzionale: ”E’ allo studio la definizione di un nuovo piano triennale di immissioni in ruolo (2014-2017) del personale precario che consenta di ridurre il numero di soggetti che ancora prestano servizio nella scuola con contratti a tempo determinato”, nonché misure per introdurre, gradualmente e compatibilmente con le risorse disponibili, l’organico funzionale del sostegno e in prospettiva l’organico funzionale, come nuovo metodo di gestione degli organici”. La Carrozza si spinge anche più in là e da Casal di Principe parla, prima di Renzi, di un “investimento che si farà di circa 450 milioni di euro per adeguare le strutture scolastiche in tutt’Italia con la possibilità di nominare sindaci e presidenti delle Province commissari per l’edilizia scolastica”. Da osservare che, cambia il dizionario: non si parla di riforma ma di Costituente. Pochi mesi prima di lasciare il Governo la Carrozza al Tg1 afferma: “Penso che ci sia un discorso più complessivo che deve riguardare la riforma della scuola e credo che gli insegnanti possano partecipare a questa grande consultazione che stiamo cominciando sul futuro dell’istruzione. La Costituente della scuola affronterà questo e sarà la più grande consultazione popolare in Italia che coinvolgerà tutti, associazioni, famiglie, genitori”. Con l’arrivo di Stefania Giannini non si farà. Si farà invece una vera riforma. Il testo c’è. Ed è ambizioso. Ma per ora è l’ennesimo annuncio settembrino.

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