Nel corso del 2013, il numero di italiani con un patrimonio superiore al milione di dollari è passato da 176 a 203 mila, pari a una crescita del +15.3%. A livello mondiale ed europeo, tale dinamica è stata rispettivamente del +14.7% e del +12.5%.
In alcune statistiche, in effetti, “passo dopo passo” riusciamo a non farci battere da nessuno…
Contestualmente, stiamo sdoganando un mercato del lavoro ormai platealmente ispirato al modello salariale dei mini-job tedeschi, che riflette in pieno le dottrine finanziarie neonaziste con cui la Ue sta soggiogando le economie periferiche dell’area.
Sui cancelli del nuovo lager eurocratico, la retorica del “meglio poco che niente” (nefasta e inevitabile degenerazione locale del turboliberismo globale) sostituirà progressivamente il tristemente più famoso “Arbeit macht frei”. Proprio come i nostri cugini tedeschi, saremo cioè tutti liberi di lavorare. Senza tutele e a 400 euro al mese.
Come ho scritto a una mia affettuosa lettrice, a chi si sentisse offeso per la brutale forza evocativa di queste metafore rispondo in due modi: da un lato, offrendo le mie più sincere e fraterne scuse per averne urtato la sensibilità; dall’altro lato, invitando a considerare che indignarsi per l’altrui indignazione può essere a volte il segnale di una non piena percezione della gravità della situazione. La verità è infatti che, oggi come allora, milioni di esistenze vengono comunque immolate sull’altare di una follia ideologica bieca e totalizzante: razziale allora, tecnocratica oggi. Per dubbi o delucidazioni, chiedere a un qualsiasi trentenne ingegnoso e di buona volontà, che non può oggi costruirsi una famiglia e avere dei figli.
Ho sentito con le mie orecchie alcuni rappresentanti politici dichiarare di preferire che i loro figli fossero precariamente occupati a 400 euro e senza garanzie, piuttosto che disoccupati ma imbottiti di articoli 18. Sul piano teorico, potrei anche essere d’accordo: come le scelte che ho fatto in vita mia dimostrano pienamente, mi considero infatti il più accanito sostenitore di una vera e sana flessibilità professionale. Purtroppo, però, non in un Paese come l’Italia. Dove la precarietà dei lavoratori viene scientificamente brandita da molte aziende come vile strumento ricattatorio. Prima o poi lo capiremo: un farmaco contro l’artrite non necessariamente può curare anche la meningite. E in Italia i problemi non sono articolari, ma del sistema nervoso centrale.
Il nostro mercato del lavoro si trasforma spesso in un insulto alla buona volontà e alla professionalità dei singoli. E questo non perché ci sia insufficiente flessibilità, ma solo perché a regolamentarlo sono quasi sempre le peggiori dinamiche nepotistiche e clientelari, come dimostra un tasso di mobilità sociale tra i più bassi dell’Ocse (misurato dalla correlazione retributiva intergenerazionale; cioè, in parole povere, quanto lo stipendio dei figli dipenda da quello dei rispettivi genitori).
Il vero dramma – che in parte spiega anche la polarizzazione dell’opinione pubblica intorno a soluzioni politiche che di fatto rappresentano dei veri e propri crimini intergenerazionali – è che a noi, complessivamente…va bene così. La relation-economy ci piace perché, in questo, noi italiani siamo imbattibili. Ci prestiamo volentieri alle più nocive prassi nipotocratiche (di cui la meritocrazia non è che una foglia di fico), perché siamo davvero, costituzionalmente, poeti e naviganti: sappiamo raccontarcela come nessun altro e veleggiamo allegramente da un padrone a un padrino (a volte, a un papi) con estrema disinvoltura. Il vento, manco a dirlo, si chiama opportunismo.
Chi, in politica e nella società, ha tentato di opporsi a quest’ordine di cose, ha raccolto un venti-venticinque percento di consensi elettorali e un’ostilità mediatica senza precedenti. Chi ha invece preferito farsi ipnotizzare dall’illusione di una possibile continuità di rotta con il recente passato – essenzialmente basata sull’immobilismo sociale ed istituzionale – si è messo in tasca ottanta euro e una buona dose di auto-persuasione (astutamente ribattezzata come “ottimismo”). Sommessamente ricordo che, quando erano costretti a salire sui convogli diretti ai campi di sterminio, anche i deportati venivano persuasi che la finalità fosse quella di un ri-popolamento della Germania dell’Est: per certi aspetti, gli ottanta euro dell’epoca.