Karamaleski, 26 anni macedone, era amico di Ismar Mesinovic anche lui partito dal Bellunese e morto ad Aleppo. A novembre ha lasciato Palughetto con moglie e i tre figli per raggiungere la Macedonia, e a marzo sarebbe caduto in combattimento. Il sindaco: "Ho portato le condoglianze dell'amministrazione alla famiglia, il padre è un musulmano moderato non approva le sue scelte"
Ismair, il figlio di Ismar Mesinovic, l’imbianchino jihadista di Longarone (Belluno) morto in gennaio ad Aleppo oggi compie 3 anni. Accanto a lui, in queste ore potrebbe esserci Munifer Karamaleski, 26 anni macedone, con sua moglie e i loro tre figli. Potrebbe. Il condizionale rimane, visto che nelle ultime ore si è diffusa la notizia della sua morte, che risalirebbe ad un combattimento a marzo. Se così fosse Munifer sarebbe il secondo veneto, morto nella Jihad. Il secondo bellunese, per la verità. Ma nulla è stato confermato in via ufficiale. Né dalla Procura di Venezia e nemmeno dai carabinieri del Ros di Padova.
Il dato certo è che Munifer è partito lo scorso novembre lasciando Palughetto, una frazione di Chies d’Alpago con la moglie e i tre figlioletti. Destinazione ufficiale: Macedonia. “La richiesta portata al Comune chiedeva il trasferimento di residenza in Macedonia”, spiega Gianluca Dal Borgo, sindaco di Chies d’Alpago che conosce la famiglia da tempo. Poi però si sarebbero spostati in Siria. “Conosco i suoi genitori da anni, sono molto credenti ma fanno scelte moderate – ha detto Dal Borgo – il padre soffre della situazione, non è d’accordo con la scelta estrema del figlio, anzi, la rinnega e ne soffre”. Ismar e Munifer erano amici da tempo. Frequentavano insieme il centro culturale islamico Assalam di Ponte nelle Alpi. E se ne sono andati insieme dalle Dolomiti. Forse per combattere la Jihad arruolandosi nelle fila dell’Isis. Lasciando in quella frazione tra i monti la sua famiglia d’origine. Papà, mamma, 4 fratelli piccoli, e Khara, la sorella che lavora in un negozio di kebab a Belluno. Ha bussato alla loro porta, l’altra sera, Gianluca Dal Borgo, quando la notizia della possibile morte di Munifer si è diffusa. “Sono andato a dare loro la solidarietà dell’amministrazione – dice – abbiamo un rapporto diretto da tempo, mi hanno accolto bene”.
Sulla porta della casa al limitare dei boschi, in cui i Karamaleski vivono da otto anni, oltre Tambre, in un piccolo gruppo di case abbracciato dai pendii e dal torrente, il padre di Munifer ha scosso la testa. “Mi ha ringraziato – dice Dal Borgo – mi ha ripetuto soltanto che sono addolorati della scelta del figlio. Che è difficile capire, perché lui crede, questo di sicuro, ma non approva le sue scelte”. Quali? Quelle di combattere? Forse. Non scende in dettagli, il padre di Munifer, quando parla col sindaco. Ringrazia e si chiude nel suo dolore. Perché l’immagine dei Karamalesky racconta una storia diversa. Quella di una famiglia integrata, che si faceva sentire nel paese. “Erano i primi ad esserci agli eventi – dice Dal Borgo – hanno dato una mano molte volte nelle feste di paese. Sono musulmani, ma non hanno mai avuto problemi nella convivenza. E nemmeno i bambini, che andavano tutti a scuola qui e si trovavano benissimo coi compagni”.
Ora però i nipoti del primo Karamalesky arrivato nel bellunese non si vedono più da novembre 2013. A scuola sono rimasti solo i fratelli più piccoli di Munifer. Nessuno sa più nulla. Tranne Zehra, la sorella più grande di Munifer che è l’unica che avrebbe parlato con lui in queste ore. Dice di averlo sentito sabato scorso. Mostra i messaggi, su “Viber”. Ma manca la certezza. Anche in questo senso. E la vita (o la morte) di Munifer restano un punto di domanda. A poco più di 10 chilometri, a Ponte nelle Alpi c’è un altro silenzio. Quello di Lidia Solano Herrera, la moglie cubana di Ismar Mesinovic, che dalla morte del marito vive ospite della sorella Giusy e del suo compagno. La mamma di Ismair, insomma, che oggi non potrà baciare suo figlio.