La pellicola al Festival di Venezia, ed è subito polemica: negato il finanziamento ministeriale e persino il riconoscimento (gratuito) di "interesse culturale". La regista legge i segreti della stagione delle stragi: "E' quello che ci hanno detto i mafiosi o quello che non ci hanno detto i politici?"
Il ghigno beffardo di don Vito Ciancimino e l’espressione distratta di Nicola Mancino, le confidenze di Francesco Di Carlo, e un Marcello Dell’Utri in doppiopetto che tesse le lodi di Milano 2: interpretazioni e interviste inedite, pezzi di repertorio e ricostruzioni cinematografiche dei racconti di Gaspare Spatuzza, Luigi Ilardo, Giovanni Brusca. Per la prima volta i pezzi di quel complesso puzzle che è la Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra arrivano sul grande schermo con il film di Sabina Guzzanti: “La Trattativa“.
Quattro anni di lavorazione, un finanziamento ministeriale chiesto ma negato (come pure negato è stato il riconoscimento non oneroso di film “d’interesse culturale”) e una polemica immediata dovuta al logo del film: un uomo con la lupara al centro dello stemma della Repubblica Italiana che ha fatto storcere il naso ad alcuni parlamentari del Pd. Quasi la crasi iconografica del patto che portò pezzi delle Istituzioni a sedersi allo stesso tavolo di Cosa Nostra. Alla fine però il film “La Trattativa” ha visto la luce, giusto in tempo per approdare come fuori concorso al Festival di Venezia. “Che cos’è la trattativa, quello che ci hanno detto i mafiosi?” si chiede Guzzanti nel trailer del film. “O è quello che non ci hanno detto gli uomini politici?” continua la regista, mentre Nicola Mancino, conferma ancora una volta che il primo luglio del 1992, giorno del suo insediamento come Ministro dell’Interno, non conosceva fisicamente Paolo Borsellino, che invece nella sua agenda (quella grigia) aveva annotato l’incontro al Viminale.
Solo uno dei tanti rivoli gialli di una storia che è oggi al vaglio della corte d’assise di Palermo: alla sbarra ci sono boss mafiosi, ufficiali dei carabinieri e politici (tra cui lo stesso Mancino, accusato di falsa testimonianza). Il film della Guzzanti prova a ricostruire, portando in scena fatti accertati e ricostruzioni dei racconti messi a verbale dai collaboratori di giustizia, quel biennio rosso sangue che tra il 1992 e il 1994 ha terrorizzato l’Italia a suon di tritolo. Una storia che comincia già nel 1991, quando il gotha di Cosa Nostra si riunisce nei pressi di Enna, per decidere che strategia adottare nel caso la corte di Cassazione avesse messo il bollo definitivo alle condanne del maxi processo.
La data che cambia la storia d’Italia è infatti il 30 gennaio del 1992: quel giorno a Roma la suprema corte conferma il fine pena mai per i boss di Cosa Nostra. Da quel momento comincia l’escalation di terrore: il 12 marzo la chioma bianca di Salvo Lima riversa nel sangue a Mondello certifica l’apertura della guerra allo Stato, il 4 aprile tocca al carabiniere Giuliano Guazzelli, considerato vicino a Calogero Mannino, il 23 maggio è la volta del botto di Capaci, mentre il 19 luglio tocca a Paolo Borsellino: in mezzo ci sono Mori e De Donno che vanno a bussare a casa Ciancimino, Dell’Utri che assolda il politologo Cartotto per creare un nuovo soggetto politico (quando il vecchio pentapartito non era ancora stato travolto da Tangentopoli), Andreotti che viene battuto da Scalfaro nella corsa al Quirinale.
E poi ovviamente i pezzi mancanti: uno su tutti il mancato omicidio di Falcone a Roma e i misteri ancora oggi insoluti sulle stragi di Capaci e via d’Amelio. “La genesi è quando si decide di non uccidere Falcone a Roma: da lì cambia tutto e poi non è solo mafia” ha detto di recente Spatuzza, deponendo al processo. Nel film della Guzzanti scorrono i volti dei protagonisti di questa storia di patti e ricatti ancora oggi validi: magistrati, politici, boss, massoni, carabinieri, agenti dei servizi. E mentre l’Italia è sconquassata dal tritolo via Fauro, via Palestro e via dei Georgofili, ecco inesorabile arrivare il New Deal berlusconiano, con Forza Italia che va al governo: per i magistrati la prova che dopo l’arresto di Riina, Bernardo Provenzano sigla un nuovo patto con Dell’Utri, ordinando agli uomini di Cosa Nostra di votare in massa per il partito azienda. È lì che la Trattativa arriva ad un punto d’intesa e diventa atto fondativo della Seconda Repubblica italiana.