Mancava qualcuno in campo, lunedì sera. La loro assenza non ha fatto rumore come l’assist di Diego Armando Maradona per Roberto Baggio ma è una storia di calcio, nata lontano dai riflettori e figlia delle bombe cadute su Gaza. I protagonisti sono due calciatori palestinesi, invitati da Javier Zanetti all’Olimpico per partecipare alla Partita per la pace. Uno è Saeb Jendeya, 39 anni, primato di presenze con la Palestina (70) e ora assistente allenatore della nazionale. L’altro è Roberto Peto Kettlun, centrocampista cileno con passaporto palestinese e trascorsi in Italia con le maglie di Santegidiese, Teramo, Aragonese, Casarano e Brindisi. Kettlun a Roma ci è arrivato, ha partecipato all’incontro con il Papa ma ha detto no all’erba dell’Olimpico. Tutti o nessuno. E allora nessuno, perché Jendeya non ha avuto la possibilità di venire in Italia. “La sua casa è stata distrutta durante i raid israeliani delle scorse settimane sulla striscia di Gaza, dove Saeb vive – racconta Kettlun a ilfattoquotidiano.it – Ha perso tutto, compreso il passaporto. A una situazione precaria, fatta di difficoltà quotidiane, si è aggiunto il problema dei documenti”.
Quindici giorni, è questo il numero chiave. Quanti ce ne vogliono per ottenere una risposta da Israele per lasciare la striscia. “Saeb non ha fatto in tempo a rifarlo. D’accordo con la Federcalcio palestinese ho deciso di partecipare all’iniziativa ma ci sembrava opportuno lanciare un segnale, non scendendo in campo. Ne ho parlato con Zanetti e con Damiano Tommasi, una persona splendida che è anche venuta in Palestina negli scorsi anni, spiegando chiaramente che non c’erano le condizioni per vestire maglia e pantaloncini”.
Una testimonianza che Kettlun ha portato anche davanti al Congresso Fifa che si è tenuto a giugno in Brasile, nei giorni precedenti al Mondiale. Perché il diniego delle autorità israeliane ai giocatori palestinesi è storia antica. “Lì abbiamo presentato una denuncia per la situazione di perenne difficoltà che viviamo, anche per ottenere i visti d’uscita dai territori”, spiega “Peto” che della Federazione è l’uomo che cura l’aspetto della cooperazione internazionale. Gioca ancora, nell’Hilal al Quds. La squadra di Gerusalemme est ha vinto l’ultima Coppa Nazionale e nelle prossime settimane proverà a portarsi a casa la Supercoppa, prima dell’inizio del campionato fissato per il 15 settembre. “L’idea di giocare in Palestina è nata due anni fa. Dopo l’esperienza a Brindisi avevo deciso di tornare in Cile con mia moglie, poi è arrivata questa chiamata e mi sono trasferito in Cisgiordania. È un sogno d’identità (da qui i suoi avi sono partiti nel 1935, ndr) e un’esperienza di vita molto ricca”. Che si scontra spesso con spostamenti difficili, anche per chi come Kettlun gioca in Cisgiordania: “Il campionato palestinese è diviso in due gironi, uno con le squadre di Gaza e l’altro con i club del West Bank. La striscia è rinchiusa ed è impossibile giocare all’esterno. Ma anche per noi le difficoltà non mancano”.
Dal materiale tecnico spesso fermato dagli israeliani e soggetto a lunghe contrattazioni – anche economiche – per entrare nei territori palestinesi ai problemi legati alle trasferte: “Le partite del campionato sono spesso di venerdì, giorno di preghiera per i musulmani. Si spostano in massa e le file ai check point si allungano e non di rado la tensione sale. Capita così che chi gioca fuori casa, o gli arbitri, arrivino in ritardo alle partite”.
Nonostante tutto la nazionale continua a progredire. Dal 4 al 26 gennaio 2015 parteciperà alla Coppa d’Asia, in Australia. È la prima qualificazione della Palestina da quando, nel 1998, è stata riconosciuta dalla Fifa. Nel girone D incrocerà il Giappone, l’Iraq e la Giordania e per tutto il movimento sarà un check-point di pace per tastare il polso alla crescita. “Ci serve aiuto morale e non. Spero che la comunità internazionale si attivi, anche sotto il profilo sportivo – spiega Kettlun – In campionato sono ammessi solo calciatori palestinesi per aiutare lo sviluppo dei talenti locali ma abbiamo bisogno di non sentirci soli. Anche per questo sarebbe stato importante scendere in campo nella Partita della Pace”. Non è successo. Ma il rifiuto dell’ex giocatore del Brindisi è ben diverso da quello dell’egiziano Mohamed Aboutreika, che ha negato la sua partecipazione per la presenza dei giocatori israeliani: “Il motivo del suo no non aiuta il processo di pace, soprattutto se arriva in occasione di un evento mediaticamente importante come quello di lunedì. Rispetto la sua posizione ma non lo condivido. Non si costruisce così un mondo dove la religione non sia motivo di guerra e odio. Ecco perché era importante per noi esserci, nel modo che abbiamo ritenuto più giusto per rispettare l’evento e far sentire la nostra solidarietà nei confronti di Saeb”. Foto di gruppo con Papa Francesco: Kettlun è l’ultimo sul lato sinistro. Indossa un vestito blu, più chiaro di tutti gli altri. Come il suo messaggio.