Un accordo di lavoro, senza un contratto firmato, pagato mensilmente solo con una fattura. Impegno massimo, anche nel weekend. E’ la tesi a sostegno della causa di lavoro con la quale Maurizio Pascali, ex addetto stampa del Pd di Lecce, ha portato in tribunale due deputati del Partito democratico: Salvatore Capone e Teresa Bellanova, sottosegretaria al Lavoro del governo Renzi. Secondo quanto sostiene Pascali, che ha lavorato per i due parlamentari per oltre tre anni, riceveva 600 euro netti per lavorare tutto il giorno, ma soprattutto al nero. Ilfattoquotidiano.it ha cercato a lungo di avere una versione dei due parlamentari. Come risposta è arrivata una diffida da parte del loro avvocato Fernando Caracuta a “pubblicare notizie palesemente false“.

Secondo quanto spiega l’ex addetto stampa attraverso il racconto della sua legale Maria Lucia Rollo, la collaborazione con Bellanova e Capone è iniziata nel 2010. Comunicati stampa, inviti a conferenze stampa, comunicazioni su iniziative di partito, dichiarazioni dei deputati, prese di posizione della segreteria provinciale del Partito democraticoLecce. Prima le elezioni regionali, poi quelle comunali, poi le primarie di partito e di coalizione. Le caselle di posta elettronica delle redazioni di giornali locali e nazionali ricevono email che partono dall’indirizzo personale di Pascali. A fine mese Pascali, è la sua ricostruzione, emetteva fattura: aveva dovuto aprire una partita Iva e, quindi, dai 1500 euro lordi, doveva sottrarre contributi, tasse e altro. Il risultato, come detto, erano i 600 euro al mese pagati a volte al termine dei 30 giorni, altre dopo 2-3 mesi.

Nel 2012 la legge Fornero – di cui la Bellanova fu relatrice in Aula – cambia le regole e stabilisce che le partite Iva, con monocommittenza, sono “finte”. Le strade possibili erano due: o trasformare il contratto (magari a progetto) oppure stabilire un rapporto di lavoro subordinato. Per Pascali, invece, non cambia nulla, racconta. Fino al 2013, quando l’addetto stampa decide di dire basta. L’onorevole Bellanova, al momento di lasciarsi, gli fornisce  però una dichiarazione firmata e scritta su carta intestata della Camera dei Deputati, in cui conferma il lavoro svolto in quegli anni da Pascali, ritenendo la collaborazione “proficua” perché fondata sulla “serietà, puntualità e professionalità con cui ha sempre svolto la sua attività”.

Ma Pascali a quel punto decide di rivendicare i suoi diritti. L’avvocato Rollo tenta prima una conciliazione. “In genere – spiega – si procede così. Tentando il dialogo per giungere ad un accordo pacifico e condiviso. Abbiamo chiesto un incontro al sottosegretario e all’onorevole Capone. Abbiamo incontrato l’avvocato da loro incaricato ma non siamo giunti ad alcuna soluzione”. Il secondo tentativo è stata la conciliazione davanti all’ispettorato provinciale del lavoro. La richiesta avanzata da Pascali, come spiega il suo legale, è il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, con contratto nazionale di categoria e con annessa differenza economica non corrisposta fino a quel momento: tfr, contributi, indennità, straordinario eccetera. Ma non solo: l’ex addetto stampa racconta anche che il tesoriere del Pd di Lecce gli ha inviato la parcella per aver curato, in quegli anni, la parte contabile del suo accordo: 15mila euro.

Dalla sua la sottosegretaria Bellanova ha depositato una memoria in cui chiarisce che Pascali era e operava da lavoratore autonomo e che quella nota di merito (scritta sulla carta intestata di Montecitorio) era stata predisposta dallo stesso ex collaboratore, scritta per essere inserita nel curriculum e, quindi, “ottenuta con inganno e con raggiro carpendo la buona fede”. Nella diffida dell’avvocato, invece, non si conosce niente di più nel merito. La nota definisce “incredibile, scorretta sotto tutti i profili e a dir poco colpevolmente fantasiosa” la ricostruzione di Pascali. Per capire chi ha ragione si dovrà aspettare la sentenza del giudice del lavoro. 

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