Cinema

Venezia, “Good Kill!”: la guerra-videogioco del regista Niccol con Ethan Hawke

Il film in concorso alla 71ma Mostra, racconta la guerra 2.0 e la schizofrenia di un soldato che guida droni: da una parte vuole mettere la sua vita a servizio del Paese, ma dall’altra il fatto di non essere più in pericolo lo fa sentire un codardo. Al di là del valore cinematografico – non eccezionale – si tratta di una pellicola interessante

di Anna Maria Pasetti

Good Kill!” Ovvero: bel colpo! La frase viene ripetuta ogni volta che il laser emesso dal drone va a segno, colpendo l’obiettivo stabilito. Benvenuti nell’era dei droni da guerra, che anche il cinema “avvicina” grazie al primo film in assoluto sul tema. Il titolo, ultimo del concorso alla 71ma Mostra, è non a caso Good Kill, diretto da Andrew Niccol ed interpretato con trasporto da Ethan Hawke.

Siamo nei territori della guerra 2.0 in senso assoluto e in maniera assolutamente drammatica. Al di là del valore cinematografico – non eccezionale – del film, si tratta di un testo sconvolgente per ciò che esplicita. Protagonista è un ex “top gun” (Ethan Hawke, appunto) che nel 2010 viene “spostato” da pilota stanziale in Medio Oriente ad “attivatore” di droni, nella base area militare americana presso Las Vegas. Sposato con due figli, soffre di nostalgia da adrenalina da volo e di un incurabile senso di colpa per non rischiare più “fisicamente” la vita per il proprio Paese.

Spiega Hawke: “La complessità del mio personaggio sta proprio in questa schizofrenia: da una parte vuole mettere la sua vita a servizio del Paese e dunque accetta di entrare nel Drone Programme, ma dall’altra il fatto di non essere più in pericolo lo fa sentire un codardo. Fino a perdere il suo senso distintivo tra giusto e sbagliato, cioè il senso ultimo della sua vita”. Il film è emblematico per quello che mette in campo: siamo in piena mescolanza tra il Reale e il Virtuale, la cosiddetta guerra dei bottoni killer: tu vedi/circoscrivi un bersaglio e obbedendo agli ordini di una voce (che tanto ricorda quella dell’odissea spaziale prefigurata da Kubrick) ti viene intimato di colpire. Senza appello. I problemi morali, sociologici, psicologici, filosofici, politici ed esistenziali in ultima analisi sono molteplici e meriterebbero saggi di stratificazione tematica.

Colpisce l’uso di un certo tipo di linguaggio sui bersagli decisi dalla “voce”: “Approvato dall’amministrazione”, “Il bersaglio costituisce minaccia agli Stati Uniti d’America” anche quando si tratta di una semplice donna in chador nel deserto afghano che trasporta del fieno sulle spalle. Ma “ormai nessuno riesce a vincere una guerra via terra in Afghanistan. Bisogna agire almeno a 3km di distanza”, ovvero la distanza dalla quale operano i droni, noti aerei telecomandati che mai si vedono nel film, ma che sono la presenza/assenza protagonista di un cinema che ha fatto dell’avatar e della virtualità il suo main topic.

Il punto è che qui non siamo nella fantascienza, ma nella realtà tangibile, dentro alle morti concrete, alle minacce che da entrambe le fazioni seminano stragi. Ed è agghiacciante la “casuale” (?) attualità di questo war movie, in cui ad ovvio tema giustificativo del Drone Programme s’invoca l’emergenza caduti americani: “Volete vedere ancora decapitazioni online dei nostri soldati?”. “Questa guerra ha una natura schizofrenica assoluta – sottolinea allarmato Niccol – non ho voluto dare giudizi pro o contro, ma cercato di mostrare i fatti e le loro conseguenze. È il primo film sui droni da guerra, cerchiamo di capire cosa sono e come funzionano!”.

Dalla conferenza stampa di Niccol, Hawke e cast & crew colpisce ancora una notizia che fa pensare, e che viene annunciata dal produttore Zev Foreman, che già aveva prodotto il film premio Oscar The Hurt Locker di Katryn Bigelow: “Abbiamo mostrato la sceneggiatura al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ma si è rifiutato di appoggiarci. Con The Hurt Locker l’appoggio ce l’avevano dato ma poi ce l’hanno tolto”. Sono affermazioni che fanno riflettere sull’imbarazzante e imbarazzata politica comunicativa degli States.

“Non sanno ancora cosa e come comportarsi rispetto ai droni”. Quanto al fatto che nel 2010 si fosse già in amministrazione Obama poco conta. “In questo senso nulla è cambiato rispetto all’era Bush. E’ molto chiaro che rispetto alla delicata gestione del Drone Programme ci sia rivalità tra Cia ed Air Force”. Curioso sarà capire la reazione dell’opinione pubblica americana quando il film sarà presentato tra qualche giorno al Toronto Film Festival per poi uscire nelle sale.

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