La (micro) proprietà contro il land grabbing, il furto di terra a danno delle comunità di contadini. L’Unione internazionale dei notai (Uinl), una lobby che associa notai di 86 Paesi, propone di sperimentare il titolo di proprietà semplificata nei Paesi a rischio espropriazione delle terre. E cerca in Expo un palcoscenico dove diffondere questa buona pratica. Per questo a giugno la rappresentanza italiana della Uinl ha sottoscritto il Protocollo Milano, un documento di accordo fra il Centro Food&Nutrition di Barilla con Expo 2015 per contrastare fame nel mondo, obesità, spreco alimentare e promuovere invece l’agricoltura sostenibile.

I Paesi più esposti alle acquisizioni di terre su larga scala spesso non hanno catasto. Il possesso degli appezzamenti di terra si passa per eredità o per utilizzo, senza verbalizzare nulla. Il proprietario legale così resta sempre lo Stato, che può cederla ai migliori offerenti sul mercato, per attrarre capitale straniero. “Il titolo che proponiamo è molto duttile, si adatta ai singoli contesti locali, con cui ci dobbiamo confrontare tutte le volte”, spiega Giovanni Liotta, referente italiano dell’Unione dei notai. Per Liotta con il titolo “non ci può essere un esproprio: ogni cessione di terra deve ricevere un’adeguata compensazione”.

L’iniziativa ha come Paesi-pilota il Madagascar, Haiti, Togo, Cina, Egitto, Qatar, Colombia, Burkina Faso e Vietnam. Proprio nella capitale Hanoi il 12 e 13 dicembre verranno presentati i risultati della sperimentazione di questo nuovo metodo, sostenuto tra gli altri da Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e alimentazione e International land coalition, un network di 152 organizzazioni che si occupano di diritti dei contadini e di accesso alla terra in 56 Paesi.

Non mancano però le voci contrarie a quest’ottica. “Il titolo non è necessariamente la panacea che cura dall‘espropriazione e che sostiene lo sviluppo capitalistico dell’area”, sostiene Alberto Alonso-Fradejas, ricercatore del Transnational Institute, un centro con base a Washington che studia il diritto di accesso alla terra in tutto il mondo. Secondo Alonso-Fradejas, il titolo di proprietà tutela solo diritti di singoli, non le comunità e l’uso tradizionale che fanno della terra. Il pezzo di carta ha valore giuridico, ma non tutela il valore comunitario della terra. Per di più, non si svincola dalla logica di trasformare la terra in un bene materiale ed economico, uno dei meccanismi che ha innescato la corsa delle multinazionali, forti della loro capacità di acquisto.

Se per organizzazioni come Legambiente e Slow food (la quale sostiene il modello del titolo proprietario semplificato) Expo 2015 e il Protocollo Milano sono un’occasione per diffondere più consapevolezza su alimentazione e diritto alla terra, c’è chi ha alzato le barricate contro l’esposizione universale. “Non è un palcoscenico adatto per parlare di diritto al cibo, né di land grabbing – sostiene Tonino Lepore, del collettivo Genuino Clandestino, gruppo di associazioni di contadini e artigiani -. Sul tema, Expo sta mettendo insieme il diavolo e l’acqua santa, la multinazionale che si prende ettari di terra e il piccolo produttore biologico. Rifiutiamo quest’ottica in pieno”. Tanto che l’11 e il 12 ottobre, a Milano organizzeranno una prima “contro Expo”.

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