I dati sul calo delle presenze vanno presi molto seriamente per quanto riguarda i destini dei già tartassati lavoratori del settore (molti dei quali obbligati da sempre ai contratti a termine). Per il resto, anche dopo aver dato un’occhiata ai commenti dei lettori sotto la notizia, ci si permette di rinviare lo strillo al mittente. Con qualche riflessione che potrebbe giovargli.
Primo. Da quando il referendum del 1993 ha abolito il Ministero del Turismo, la promozione del nostro Paese è stata devoluta alle regioni, le quali ovviamente promuovono soltanto il proprio territorio con due effetti negativi: la moltiplicazione per venti dei costi (venti portali del turismo, venti agenzie regionali per il turismo e chi più ne ha più ne metta) e la dispersione del messaggio (un turista kazako, indonesiano o cinese ha difficoltà a interiorizzare l’idea di un viaggio pugliese o marchigiano o piemontese, lui vuole “italian food” e “italian wine”).
Secondo. Nel 2011 fu varato il codice del turismo (decreto legislativo 23/05/2011, n. 79) che fra l’altro riportava allo stato centrale il compito di disciplinare e catalogare le strutture ricettive. L’anno successivo, la Consulta bocciò la metà degli articoli del codice, e in particolare riconsegnò alle Regioni il potere di disciplinare e catalogare quanto sopra. Perciò, amici lettori, quando nel letto dell’albergo prenotato trovate lenzuola non proprio fresche di bucato, prendetevela con la Regione dove state soggiornando. Lo stesso dicasi per le tariffe praticate.
Terzo. I prezzi, appunto. In un paese dove un ristoratore romano può permettersi di appioppare 42 euro per tre gelati ad alcuni turisti americani, che cosa ci si aspetta? E qui arriva il momento di interloquire con il presidente Bocca che non pare avere rilasciato dichiarazioni dopo il fatto. Anzi, a dire il vero, non pare che Federalberghi abbia mai aperto una campagna contro il caro-tariffe scelto da molti albergatori italiani né abbia mai proposto sanzioni severe nei confronti delle strutture che sono riuscite ad ottenere una quotazione (le famose stelle, avete presente?) di molto superiore alle loro reali prestazioni.
Quarto. Bocca è proprietario di una catena alberghiera a cinque stelle ed è presidente di numerose società collegate al settore turistico. Dunque, non può non conoscere tutte le magagne che appesantiscono l’immagine del Bel Paese (quella che dobbiamo promuovere promuovere promuovere) sia di fronte agli stranieri sia di fronte agli stessi italiani che vogliono visitare una nuova spiaggia o una città non conosciuta. Fra i tanti mali, si possono citare le pratiche scorrette purtroppo documentate come quelle attribuite a numerosi concierges, quali ad esempio pretendere “mance” (a volte salate) dai tassisti, dai ristoratori o dai negozianti verso i quali indirizzano gli ospiti. Eppure, Federalberghi non pare essersi accorta del problema.
Quinto. Bernabò Bocca è anche senatore di Forza Italia. Siede in commissione Industria, Commercio e Turismo. Con la massima cortesia bisognerebbe chiedergli se non considera eccessivo, o inopportuno, tenere i piedi in così tante scarpe, alcune delle quali preposte a stabilire le eventuali famose misure “non convenzionali” da lui sollecitate a favore delle altre scarpe. In alternativa, invece di sollecitare il governo, potrebbe farsi portatore di una proposta complessiva sul turismo, che spazi dal controllo qualità/prezzi ai servizi offerti considerando che il turista non vuole solo dormire e mangiare, ma muoversi, divertirsi, fare sport e magari godere dell’arte italiana.
Sesto. Con quale entusiasmo si dirigeranno sulle spiagge italiane i campeggiatori se qualcuno non fornisce loro la certezza che il camping scelto non è stato impiantato lungo una fiumara?