Sulla copertina del suo “Dizionario ragionato” aveva fatto scrivere: “Di lingua volgare, anzi volgarissima, d’uso del popolo alla fine del secondo millennio dal parlare toscano e vieppiù labronico, diligentemente mutuata. A cura del prof. Ettore Borzacchini, accademico della Farina di Semi di Lino con dimolte annotazioni, chiose e cazzi vari di altri eminentissimi studiosi periti in Scienze, Lettere e Arti”. Spesso veri (come Mario Cardinali, direttore del Vernacoliere. Oppure inventati come per esempio: “cfr. G. CHAUCER, It’s better a dead at home than a Pysan at the door, Nottingham 1656”. Ettore Borzacchini – che in realtà si chiamava Giorgio Marchetti – è morto improvvisamente a 71 anni e a mezza Toscana mancherà una specie di luce nel buio per chi vuole capire la lingua che parla. Il “Borzacchini Universale” è come il Devoto-Oli della Toscana costiera, in particolare (o quasi esclusivamente) di Livorno e dei suoi dintorni.
Marchetti era nato a Lucca da genitori livornesi e con la sua città d’origine non ha mai perso i contatti, soprattutto grazie alla lingua di quelle parti. Architetto (è stato membro del consiglio nazionale per quasi 10 anni), scrittore e umorista, per anni ha collaborato con il Vernacoliere e Il Tirreno (per il quale ancora scriveva), ma aveva scritto anche per Comix, Focus, Il Giornale. Ma faccia attenzione chi non lo conosceva: il suo dizionario di 4 volumi, il Borzacchini, – pur con i toni scanzonati e ironici di cui si trova traccia su internet – era e resta una cosa seria sotto il profilo della lessicografia. Tanto che l’Accademia della Crusca li ha inseriti tra i testi di riferimento, mentre l’Aiis (Associazione Internazionale di Studi di Italianistica) nella sua conferenza annuale del 2005 all’Università della North Carolina gli ha dedicato una sessione del seminario “Anxiety of form in contemporary italian fiction” tenuta da Roberto De Lucca, del Bennington College, ai docenti di Italianistica delle Università americane, dal titolo: “Il Borzacchini Universale, o Il Dizionario Macaronico di Giorgio Marchetti”. In queste ore sulla pagina facebook del “professor Borzacchini” si stanno moltiplicando messaggi di cordoglio e di dispiacere. E molti influenzati dal suo stile: “Cià lasciato con un ‘bòna ugo'”.
Esempio. “Levare il fumo alle schiacciate“. “Simpatica ed efficace espressione di schietta officina toscana attraverso la quale si evidenzia un’elevata abilità nel realizzare alcunché con tempestività ed efficienza e, per traslato, prontezza di riflessi e di apprendimento. È chiara la natura paradossale della locuzione, dato che, come giustamente argomenta il Ravagliulo-Incordati: «…il fumo della schiacciata è elemento inconsistente ed inafferrabile, nonché effimero, e pertanto il solo tentare di levarlo risulta azione vana ed illusoria come il fare la punta alle scorregge… » (cfr. ULRICO RAVAGLIULO-INCORDATI, Fenomenologia della schiacciata tra utopia e realtà, Colgate 1966)”. La schiacciata, per inciso, è una sorta di sinonimo di focaccia. Tuttavia, aggiunge per quella locuzione, il Borzacchini: “Si ripropone altresì la vexata quaestio della vera consistenza e natura della schiacciata in sé, che secondo il Fetecchia”. Eccetera. Ogni voce ha anche un esempio pratico: “«Luilì leva ‘r fumo alle schiacciate. ..!» dirà indifferentemente il gentiluomo livornese del grande direttore d’orchestra così come del penalista di vaglia o del meccanico all’angolo, ma «Alla tu’ età io levavo ‘r fumo alle schiacciate!» affermerà, non senza una punta di malinconia, il medesimo gentiluomo nell’ammaestrare il figlio adolescente che manifesta scarsa inclinazione alla dilettevole pratica della topa”. Sì, anche a quest’ultima è dedicata una voce del dizionario. Sterminata.