I due avevano avuto una relazione "13 anni prima", ma i giudici hanno dato ragione al Rettore, che ha revocato la nomina a commissario. A nulla è valso il ricorso dell'insegnante, che ha spiegato che non si era mai trattato di un "rapporto di convivenza", ma più che altro di un flirt
Un docente non può sedere nella commissione che assegna un posto da ricercatore se ha avuto una relazione con una candidata. Nemmeno se, come ha provato a giustificare il Paolo B., il prof. in questione, la liason è avvenuta “13 anni fa”. È quanto hanno stabilito i giudici del Tar della Lombardia, con una sentenza che conferma la decisione dell’Università Statale di Milano di revocare la nomina a commissario del docente perché tra i candidati alla posizione c’era una sua ‘ex fiamma”. La segnalazione dell’ambiguità è arrivata dagli stessi candidati, che conoscevano la natura della loro passata relazione, e temendo un giudizio di favore nei confronti dell’aspirante ricercatrice si sono rivolti al Rettore, che ha revocato l’insegnante dalla carica.
A nulla è valso il ricorso del docente, che ha spiegato che non si era mai trattato di un “rapporto di convivenza”, ma più che altro di un flirt. Secondo il professore, incaricato di scegliere un posto da ricercatore nella Cattedra di “Preistoria e Protostoria“, la “passata e datata relazione” con una delle candidate “non costituirebbe una legittima causa di ricusazione” perché si tratta “una relazione cessata da ormai tredici anni”, senza nemmeno alcun “rapporto di abituale commensalità“. Secondo i giudici Mariuzzo – Simeoli – Marongiu, della prima sezione del Tar della Lombardia, la decisione presa dal rettore è stata quella giusta. “L’avere intrattenuto (sia pure in passato) una relazione sentimentale con una candidata costituisce un presupposto non irragionevole per disporre la revoca della nomina di un commissario”, si legge nella sentenza, “in quanto circostanza (ben diversa dall’ipotesi della mera collaborazione scientifica) astrattamente idonea ad offuscarne l’immagine di indipendenza di giudizio e di terzietà”. Tra l’altro, scrivono i giudici, “la persistente notorietà all’interno dell’Università della suddetta vicenda, poi, accresceva maggiormente l’esigenza di tutela dell’interesse alla trasparenza delle operazioni di valutazione, al fine di precludere ogni indebito sospetto di parzialità da parte della Commissione giudicatrice”.