Società

Suore uccise in Burundi: la tragica normalità di tre donne di Dio

L’Italia migliore e nascosta ha la faccia di Lucia, Olga e Bernardetta. Volti umani, non “fotogenici”. Tre donne tra i settantacinque e i settantanove anni. Dunque da rottamare secondo la retorica della nuova casta. Tre italiane che hanno scelto di andare tra i dannati della terra, a vivere nella periferia di Bujumbara. Facendo mestieri che non sono glamour. Una insegnava, l’altra seguiva le ragazze perché imparassero taglio e cucito, la terza era ostetrica. Vite normali come quelle di decine di milioni di italiane e italiani. Vite particolari, perché volute vivere in condizioni difficili, in mezzo alla miseria vera, dedicate al riscatto di persone sconosciute sentite come fratelli e sorelle. E così probabilmente consideravano, se già lo frequentavano, il killer fermato ieri.

Guardiamole quelle tre facce nelle foto sui giornali o alla televisione. Sono suore, per scelta senza divisa, hanno seguito la propria vocazione. Ma sono anche il volto di quell’Italia di tutte le età, di tutti i mestieri, di tutte le convinzioni – che fa il suo lavoro, che non disprezza né invidia gli altri, e anzi è pronta a spendersi per la comunità. In un ufficio, in un’azienda, in un ministero, in una parrocchia, in uno dei tanti segmenti della società. Facce oneste (si può ancora usare la parola?) e che esprimono solidarietà e pulizia.

Dove mai sarà Bujumbara? Nel Burundi risponderanno i più colti o i più rapidi a frugare in Internet. In realtà ci sono tante “Bujumbara” tra di noi, tra le pieghe di un Paese devastato dalla crisi e ora anche ammorbato dai vaniloqui di palazzo. Il punto è cosa fa ciascuno in queste Bujumbare. Quell’Italia silenziosa e generosa come loro è veramente la spina dorsale nascosta, che tiene in piedi la società e rappresenta il suo orgoglio all’estero. Certo, non avendo frodato milioni allo Stato, non essendo furbetta o di lingua sciolta, impegnata a diffondere tweet e selfie, non sembra avere le carte per essere ascoltata ai piani alti. Ma se non sarà questo popolo a farsi sentire e segnare la rotta da seguire, se non sarà la sua “qualità” a caratterizzare la svolta in cui tutti speriamo, il nostro Paese difficilmente uscirà dal pozzo in cui è caduto.

Il Fatto Quotidiano, 10 settembre 2014