Slitta di una settimana la riunione della direzione nazionale che deve decidere i nuovi vertici del partito dopo la notizia delle indagini sui due contendenti alla Regione. "Non è giustizia a orologeria" dice Taddei, ma tra i dem c'è chi pensa che sia la vendetta dei magistrati per la bozza della riforma della giustizia presentata dal governo il 29 agosto (e che non è piaciuto ai pm)
Quella che fino a qualche ora fa era solo una voce, ora è diventata una notizia: il caos scoppiato all’interno del Pd per l’iscrizione nel registro degli indagati di due dei tre candidati dem alle primarie per le regionali in Emilia Romagna è molto più di una bega locale. E non solo perché a essere coinvolti sono Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, due pezzi da novanta del Pd renziano. La portata ‘nazionale’ della bufera è tale da sconfessare anche uno degli ultimi annunci del premier, che sabato dalla Festa dell’Unità di Bologna aveva promesso dal palco che venerdì sarebbe stata resa nota la nuova segreteria del partito. Così non sarà. Perché la riunione della cabina di regia democratica (in cui si sarebbe dovuto parlare della vicenda emiliana) è stata rinviata. In un primo tempo si parlava di uno slittamento di quattro giorni (da giovedì 11 a lunedì 15 settembre), poi diventati cinque nelle ultime ore. In pratica, la nuova squadra del segretario Matteo Renzi si avrà non prima di martedì prossimo. Basterà meno di una settimana per dirimere il nodo emiliano? Presto per dirlo. Ieri, però, in ambienti vicini al presidente del Consiglio già si capiva che l’intenzione dei vertici era quella di dargli massima priorità. “L’affaire Emilia-Romagna – aveva spiegato a ilfattoquotidiano.it un parlamentare vicino a Palazzo Chigi – va risolto al più presto prima che ci sfugga di mano. Richetti, adesso Bonaccini qualcosa si muove e lo scenario emiliano potrebbe riservare delle sorprese…”.
Il Piano B.: un nome in grado di mettere tutti d’accordo
Quali? Non è dato sapere. Di certo c’è che il Pd sta pensando a una soluzione interna in grado di mettere tutti d’accordo. Obiettivo? Superare l’imbarazzo della corsa tra indagati per prendere il posto del condannato Errani. In tal senso, l’ipotesi più accreditata sarebbe quella di un nome condiviso capace di superare lo scoglio primarie. Un piano B, insomma. I nomi che tornano in ballo sono gli stessi che inizialmente erano usciti all’inizio del dibattito: il sindaco di Imola Daniele Manca (che si era ritirato alcune settimane fa e che pareva essere il “perfetto” candidato unitario) oppure il ritorno in terra emiliano-romagnola di un ministro, magari il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio o il titolare del Welfare Giuliano Poletti. Difficile, in ogni caso, escludere altre soluzioni. C’è chi parla, ad esempio, della possibilità di convincere Romano Prodi: più fantapolitica che altro… Certo è che stavolta dovrà essere Matteo Renzi ad assumersi in prima persona l’onere di sbrogliare la matassa: quello di perdere l’Emilia-Romagna è un rischio che il Pd non può nemmeno lontanamente permettersi di correre. E finora la tendenza del capo del governo è sempre stata quella di puntare a candidati unitari. E’ successo in Piemonte con Sergio Chiamparino. Accadrà di nuovo in Toscana con Enrico Rossi (anche lui indagato, ma non lascia: “Mi ricandido anche in caso di rinvio a giudizio”). Potrebbe accadere in Calabria (con un nome da individuare).
Richetti e Bonaccini indagati per la vicenda Spese Pazze: uno si ritira, l’altro no
In attesa della mossa politica di Renzi, resta ancora da capire con esattezza cosa la Procura di Bologna contesti ai due esponenti democratici (e a tutti gli altri capigruppo indagati). Uno dei fronti giudiziari aperti per Richetti, ex presidente del consiglio regionale dell’Emilia Romagna, ad esempio era quello che riguardava una vicenda di auto blu, caso sollevato da ilfattoquotidiano.it nel 2011 e dai consiglieri M5S Giovanni Favia e Andrea Defranceschi. In una serie di documenti si registravano gli spostamenti di Richetti, allora a capo dell’Assemblea regionale. Oltre cento le pagine allegate, con le ricevute rilasciate dall’azienda Cosepuri per i numerosi viaggi. Su alcuni in particolare si concentravano le accuse dei 5 stelle. Da capire anche la portata delle accuse per Bonaccini. Che, però, a differenza di Richetti ha deciso di continuare la sua corsa in vista delle primarie dem in programma il 28 settembre. “Spiegherò tutto al pm” ha detto il responsabile degli Enti locali, che, rimanendo così le cose, se la dovrà vedere con il terzo candidato del Pd in origine renziana. Si tratta dell’ex sindaco di Forlì Roberto Balzani, che dovrebbe raccogliere però “l’attenzione” dell’area vicina a Pippo Civati. Sempre che le primarie si facciano. E in tal caso, Balzani non ha nessuna intenzione di farsi da parte.
Taddei: “Non è giustizia a orologeria”. Ma nel Pd c’è chi lo pensa
“No, non è giustizia a orologeria. Da parte della magistratura non c’è dolo, anche perché un avviso di garanzia non è una condanna. Penso anzi che questi provvedimenti nei confronti di Richetti e Bonaccini siano motivo di imbarazzo per la magistratura in un momento come questo in cui il Pd si appresta a fare le primarie in Emilia Romagna“. Parola del responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, a Radio Capital. La sua presa di posizione, tuttavia, si scontra con quella di molte anime dem, che a sentire Repubblica vedono nella tempistica dell’azione dei pm una sorta di vendetta per la bozza che il governo ha presentato il 29 agosto scorso in tema di riforma della giustizia (con responsabilità civile allargata e stretta sulle intercettazioni). Ai magistrati, insomma, non sarebbe andata giù la svolta garantista del Pd di Renzi. Tradotto: azione e reazione. Voci, solo voci. Ciò non toglie, tuttavia, che il governo non arretrerà di un millimetro sulla strada della riforma, già ampiamente bocciata ieri dall’Associazione nazionale magistrati. Con queste parole: “Solo slogan in un testo punitivo frutto di compromessi”.