“Che paese è l’Afghanistan? Il più complicato dove io sia mai stata”. Shannon Galpin fa avanti e indietro da Kabul da 6 anni, ma non può fare a meno di continuare a notare le contraddizioni del paese che racconta anche attraverso il suo sito. “Ho vissuto in Europa e in Medio Oriente per oltre 10 anni, ma qui è un mondo a sé – racconta -. Il paesaggio è allo stesso tempo arido e maestoso, le persone sono gentili e hanno doti di resistenza uniche. Lavorare in Afghanistan è incredibilmente gratificante e dannatamente frustrante”. Trentanovenne mamma e ex istruttrice di pilates in Colorado, nel 2006 ha voltato pagina. Ha venduto ciò che aveva in America, ha lasciato il lavoro e ha fondato l’associazione Mountain2Mountain. All’inizio furono petizioni e settimane da volontaria in giro per il mondo. Poi decise che non le bastava più, per la prima volta vedeva l’Hindu Kush dal finestrino di un aereo. Da giovane Shannon aveva subito violenze, ora la sua missione è diventata dare voce alle donne che non ce l’hanno. A cominciare dall’Afghanistan, uno contesti più difficili in cui nascere femmina.
Nel crocevia dell’Asia centrale Shannon ha portato con sé anche la passione per le due ruote. Sembrava un alieno quando cominciò a pedalare sugli altipiani in sella alla sua mountain bike. Nel 2010, in un paese in cui alle donne è stato a lungo vietato andare in bicicletta, è stata la prima persona a attraversare i 225 chilometri della valle del Panjshir. Sempre con lei un piccolo portafortuna in argento regalato da una ragazza conosciuta qualche tempo prima nella prigione di Kandahar. A breve la sua vita cambierà una volta di più. Il 19 settembre sarà alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi asiatici 2014 a Incheon. L’Afghanistan farà il suo esordio con una nazionale di mountain bike femminile, Shannon Galpin sarà l’allenatrice.
L’avventura ha avuto inizio quando la figlia del coach della squadra maschile di ciclismo le chiese di pedalare assieme a lei. Un atto di emancipazione, una rottura con costumi e tradizioni che ha dato il via alla creazione di un team che ora conta 45 atlete. Tra allenamenti massacranti e difficoltà di ogni tipo sono riuscite a arrivare in Sud Corea e ora sognano le Olimpiadi del 2020 in Giappone. “La strada è ancora lunga – spiega Shannon -. Le ragazze hanno alle spalle un anno o due di bicicletta, non di più. Intensificheremo i nostri allenamenti perché il livello della concorrenza è alto e la sfida è impegnativa. La federazione è appena nata, non ha soldi né personale. Tutte le attenzioni di tifosi e istituzioni sono rivolte a cricket e calcio, inoltre ci scontriamo con la questione di genere che a queste latitudini è un tema delicato”.
Per Shannon Galpin la situazione è quasi paradossale: “Quando sono arrivata in Afghanistan ero convinta che il problema sarebbe stato lavorare in una zona di conflitto, da molti considerata il peggior posto al mondo dove vivere per una donna – racconta -. Invece mi sono scontrata con la carenza di soldi: il vero limite del mio lavoro è di natura finanziaria. I progetti ci sono, mancano i soldi per realizzarli”. Il prossimo obiettivo è imparare la lingua per comunicare con le sue atlete senza più mediazioni. “Il mio Dari è elementare e la maggior parte delle componenti della squadra non parla una parola di inglese – conclude Shannon -. Non è semplice superare la barriera comunicativa, per questo passo molto tempo sui libri a studiare. L’intermediazione di un traduttore, soprattutto se uomo, limita la qualità delle relazioni e io ho un gran bisogno di dialogare, parlare di bici e non solo. Le ragazze afghane sono incredibilmente dolci e aperte: lavorare con loro è per me la gioia più grande che ci sia”.