“Non mi dimetto neanche per sogno. Non credo che nessun tribunale al mondo mi possa condannare perché mi chiamo Silvio Berlusconi. Se lo facessero sarebbe una sentenza politica, un atto sovversivo”. Era il 22 novembre del 1994 e a pronunciare questa frase, come tutti ben ricordano, fu l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi raggiunto da un invito a comparire da parte della Procura di Milano nei giorni in cui si trovava a presiedere una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli (e non il G7 come è stato più volte erroneamente detto e scritto).
 

E’stata una delle prime volte in cui si è usata l’espressione “giustizia ad orologeria” sia da parte di Berlusconi sia da parte dei politici del suo partito e della sua coalizione sia da parte dei giornali di area berlusconiana. Negli anni a venire, a seguito di altre inchieste giudiziarie a carico del Cavaliere, espressioni simili non si sono fatte attendere, tutte sempre nell’ottica della fantomatica “giustizia ad orologeria” invocata ad ogni avviso di garanzia o mandato a comparire. “I magistrati sono antropologicamente diversi, non appartengono alla razza umana”, “c’è stato un accordo tra i giudici di sinistra per sovvertire il risultato delle elezioni”, “io vittima dei giudici di sinistra” sono solo alcuni degli infiniti esempi che si potrebbero riportare nella lunga storia di attacchi alla magistratura da parte di Berlusconi e del centro destra italiano in quegli anni rappresentato in larga parte da Forza Italia.
 

Fino ad arrivare ai tempi più recenti con l’arresto di Claudio Scajola riguardo al quale il consigliere politico di Berlusconi Giovanni Toti si esprime così: “Il copione si ripete, non appena sono vicine le elezioni scatta la giustizia ad orologeria quasi sempre verso esponenti di centro destra…” e alle inchieste sulla sanità in Lombardia che coinvolsero il presidente uscente Formigoni, uno dei più accaniti sostenitori dell’esistenza, appunto, della famigerata giustizia ad orologeria. 

E adesso cosa accade? Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, due esponenti di spicco del Pd renziano, entrambi candidati alle primarie per le regionali in Emilia Romagna sono stati iscritti nel registro degli indagati per peculato e, in molti, all’interno del Pd, stando a quanto riportato da Goffredo De Marchis su Repubblica, parlano di una “vendetta”da parte della magistratura per via della bozza presentata dal governo lo scorso 29 agosto in tema di riforma della giustizia con una riduzione del periodo di ferie per i magistrati, l’introduzione della responsabilità civile e la stretta sulle intercettazioni.
 

Nella sede del Pd sarebbe tornata di moda l’espressione “giustizia ad orologeria” e si starebbe parlando dell’esistenza di “una vecchia partita tra i democratici emiliani e la procure di Bologna”. “La coincidenza è inquietante; l’obiettivo finale era quello di azzerare una classe dirigente, di abbattere un partito alla vigilia del voto; giustizia a orologeria collegata con le riforme presentate il 29 agosto, alla svolta garantista del Pd, all’ultima polemica sulle ferie dei magistrati”. ……non sono parole di Berlusconi nè di Toti nè di Formigoni ma di esponenti del Pd.
 

E’ davvero curioso che il Pd faccia esattamente quello che ha sempre rimproverato a Forza Italia ovvero ritenga la magistratura responsabile dell’inettitudine e del malcostume di alcuni dei suoi vecchi e nuovi rappresentanti che rimangono innocenti fino al terzo grado di giudizio ma che sono comunque coinvolti in inchieste giudiziarie. 
 

Se per assurdo le inchieste dovessero toccare esponenti più importanti e dovesse esserci una crisi di governo il Pd incolperebbe qualche giudice o qualche giornale della sua caduta come avvenne nel novembre del 1994 quando il Corriere della Sera fece lo scoop sul mandato a comparire a Berlusconi? Beh, oggi non ci cascherebbe più nessuno dato che nel 1994 a far cadere il governo Berlusconi non fu né il mandato a comparire né lo scoop del Corriere bensì il mancato appoggio della Lega sulla riforma delle pensioni.
 

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