Chiedevano la scarcerazione e un nuovo prelievo del Dna, in presenza delle parti. Per ora però la difesa di Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio ha incassato un primo no dal giudice per le indagini preliminari di Bergamo che ha respinto l‘istanza presentata mercoledì mattina. Il gip di Bergamo, Ezia Maccora, l’ha dichiarata inammissibile perché gli avvocati del muratore di Mapello, che ha sempre dichiarato di non aver mai neanche conosciuto la ragazzina di Brembate, non hanno inviato la notifica della richiesta alla parte offesa come previsto dal codice penale.
Un vizio di procedura, quindi, che rinvia la possibilità per il presunto assassino di uscire dal carcere dopo 87 giorni. Non una bocciatura che entra nel merito della richiesta, ma motivata solo da un vizio procedurale. I legali di Bossetti dovranno, quindi, ripresentare la domanda di scarcerazione notificandola anche alla controparte che, nei due giorni successivi, potranno presentare una memoria.
Gli avvocati hanno chiesto anche che l’analisi del Dna sia acquisita in contraddittorio, ossia in presenza di tutte le parti. Bossetti fu fermato dopo il risultato positivo del test del Dna. Il prelievo della saliva fu fatto però simulando un controllo con l’etilometro. Ci dovrebbe essere, quindi, un nuovo esame sugli indumenti della vittima, già svolto nel 2011. La richiesta, però, potrebbe essere respinta perché, all’epoca del test, non c’era ancora alcun indagato e quindi era impossibile svolgere il tutto in presenza degli avvocati della controparte. Le analisi sui vestiti della vittima rappresentano la prova più concreta in mano ai legali dell’accusa. Al nome del carpentiere, gli investigatori sono arrivati, ripercorendo la pista genetica che ha portato al padre dell’imputato, Giuseppe Guerinoni, e alla madre, Ester Arzuffi.
Non chiederanno però un’ulteriore comparazione tra il Dna trovato sulla vittima e quello del muratore, dopo che quattro diversi laboratori ne hanno stabilito l’identità, ma un nuovo prelievo. “Perché le prove – spiegano gli avvocati – si creano in contraddittorio”. Nella richiesta di scarcerazione presentata al gip inoltre non si faceva riferimento alle testimonianze emerse in seguito all’arresto. Nemmeno ai risultati degli accertamenti sui computer di Bossetti da cui era emerso che erano state digitate le parole “sesso” e “tredicenne” (Yara fu uccisa a 13 anni) su un motore di ricerca. Una circostanza già contestata in un interrogatorio a Bossetti il quale aveva spiegato di non essere stato lui a digitarle, mentre la moglie, di fronte alla domanda, non aveva risposto.
Gli avvocati, invece, nel chiedere che il muratore lasci il carcere, hanno cercato di dare una spiegazione alternativa degli elementi alla base dell’ordinanza di custodia cautelare. Del fatto, per esempio, che del materiale edile, anche polvere di calce, sia stata trovata sul corpo della ragazza (ma buona parte degli abitanti di Mapello e Brembate di Sopra lavora nell’edilizia). Così come ritengono si essere in grado di spiegare perché il cellulare del muratore si sia agganciato, il pomeriggio del 26 novembre del 2010, quando Yara sparì dalla palestra di Brembate, alla stessa cella di quello della ragazza. Bossetti aveva già spiegato che in quel periodo lavorava in un cantiere a Palazzago ed era solito passare davanti alla palestra nel tornare a casa perché quello, pur essendo più lungo, era il tragitto più scorrevole. Quindi, per gli avvocati, non vi sono quei gravi indizi di colpevolezza che ne impediscano la scarcerazione.