Dopo “i tre tenori” e i “fab four”, ecco le “cinque camicie bianche”, nella loro esibizione di domenica scorsa sul palco bolognese della Festa dell’Unità (che fu): dietro il frontman Matteo Renzi, Pedro Sanchez, segretario del partito socialista spagnolo, Manuel Valls, primo ministro francese, Diederik Samson, leader dei laburisti olandesi, e Achim Post, segretario del Pse. Mentre arrivavano le prime immagini della performance, un amico dirigente di lungo corso del Pd mi tweettava: “Quattro socialisti e un democristiano”.

Resta ancora da capire che cosa ha fatto davvero nascere il “patto del tortellino” di questo 7 settembre: un’operazione politica o un’altra band? In effetti quanto l’operazione voleva indurci a credere, sotto la regia dello spin-doctor renziano Filippo Sensi, era il varo del programma di una nuova aggregazione transazionale a sinistra; sulla falsariga di precedenti che hanno segnato nel profondo le vicende politiche dell’ultimo quarto del XX secolo.

1977, si incontrano a Madrid Enrico Berlinguer, Santiago Carrillo e Georges Marchais (i leader dei rispettivi partiti comunisti italiano spagnolo e francese) annunciando la nascita dell’Eurocomunismo; come svincolamento dalla casa madre moscovita per affermare un’autonomia che presupponeva l’alternativa: partecipazione a governi in coalizione con partiti borghesi. Un progetto andato a male, in quanto serviva più a puntellare le rispettive segreterie dei contraenti e nel quale – probabilmente – solo Berlinguer credeva davvero. Comunque accompagnato da una ricca elaborazione intellettuale.

1998, si incontrano a New York Bill Clinton, Tony Blair e Romano Prodi (cui si aggregherà in un secondo tempo Gerhard Schröder) per formalizzare la new wave della Terza Via, come riposizionamento elettorale dei partiti socialdemocratici nel campo dei presunti vincitori al tempo della globalizzazione (dando per scontato che i perdenti, operai e ceti medi impiegatizi, avrebbero comunque continuato a votare per riflesso condizionato i New Labour o i New Democrat in marcia verso il centro). Anche in questo caso la svolta fu accompagnata da una vasta produzione saggistica, in cui spiccava l’allora direttore della London School, Anthony Giddens (da cui il soprannome di “Mazzarino della Terza Via”).

Premesso che allo scrivente tanto l’Eurocomunismo come le “strategie terzaviarie” piacquero pochissimo, soprattutto per il loro vizio di tatticismo politicista, resta il fatto che le due operazioni evidenziavano un robusto retroterra elaborativo.

Arriviamo così al remake bolognese: c’è qualcosa di consistente dal punto di vista ideale nella parata di giovanotti più o meno bellocci che si sono esibiti in una gag canterina-comiziale in divisa d’ordinanza? In effetti, prima di scrivere questo post ho atteso qualche giorno, per vedere se dietro lo spettacolo faceva capolino una qualche ideuzza, uno straccio di indicazione strategica per produrre inversioni di marcia nella corsa del convoglio europeo verso l’inevitabile binario morto. Silenzio. Sicché ora ritengo di poter scrivere, non inficiato da pregiudizi, che a Bologna si è trattata della solita messinscena d’immagine; che domenica scorsa si è fatto spettacolo. Del resto in ossequio alla regia più congeniale a due cattolici conservatori; quali Renzi e il suo assistente, il pur acculturato Sensi.

Cattolici conservatori di stampo stilnovista (quelli che in altri tempi pretendevano di rinnovare la chiesa suonando qualche chitarra durante la messa). Diciamocela tutta: in quanto cattolici, antropologicamente estranei alla sinistra. Che è modernizzazione, secondo non solo i criteri della giustizia e della libertà ma anche della laicizzazione e del pensiero critico. Insomma, sperare in un salvataggio dell’Italia grazie agli spettacolini stilnovistici di questi ragazzi della parrocchia (dove hanno appreso anche una buona dose di perfidie) è una pia illusione bella e buona.

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