Libertà d’espressione. Limiti al diritto di critica. Autonomia dell’intellettuale. Sono i principi in gioco in questi giorni a Urbana, Illinois, dove l’università ha ritirato un’offerta di lavoro a un professore accusato di aver usato toni troppo pesanti nelle critiche a Israele durante il conflitto di Gaza. Pressioni per l’allontanamento dell’accademico sarebbero state esercitate da alcuni finanziatori privati del college; molti professori americani hanno intanto preso posizione a fianco del collega, minacciando di boicottaggio l’università.

La University of Illinois at Urbana-Champaign è una delle istituzioni più importanti e rispettate dello Stato. Ha diciassette campus, la seconda maggiore biblioteca universitaria degli Stati Uniti; è pubblica, ma come tutte le grandi università americane gode di ampi finanziamenti privati e ha un budget che sfiora i due miliardi di dollari. Ecco quindi che quando lo scorso ottobre Steven Salaita si è visto offrire un posto a tempo pieno nel dipartimento di American Indian Studies, non ci ha pensato due volte. Ha lasciato il posto di insegnante di inglese a Virginia Tech, ha chiesto a sua moglie, anche lei accademica, di fare lo stesso; e con il figlio, un gatto e un vecchio cane cieco si è trasferito in Illinois.

Poi, durante l’estate, è scoppiata la guerra a Gaza. E Salaita, trentanove anni, una madre di origine palestinese e un padre giordano, da sempre fiero critico del governo israeliano, ha cominciato a rendere pubblici pensieri e sentimenti. Soprattutto attraverso Twitter. Alcuni dei tweet del professor Salaita erano di questo tenore. “Soltanto Israele può uccidere 300 bambini in qualche settimana e pretendere di essere la vittima”. Un altro: “Se Netanyahu apparisse in TV con una collana fatta con i denti dei bambini israeliani, qualcuno si sorprenderebbe?”

I giudizi di Salaita facevano parte dell’enorme e ribollente mondo di pensieri e parole di Twitter. Ma, venendo da un professore della University of Illinois, non sono sfuggiti a molti; soprattutto, non sono sfuggiti alla chancellor dell’università, Phyllis Wise, che dopo alcuni giorni ha deciso di ritirare l’offerta a Salaita. La giustificazione ufficiale è stata quella di commenti “incivili” e di una retorica “irrispettosa e umiliante, capace di promuovere soltanto rabbia”. Da un giorno all’altro, dunque, il giovane professore si è trovato senza lavoro e fuori dal mondo accademico americano.

Proteste e accuse incrociate sono subito iniziate. A fianco di Salaita si sono schierati l’American Association of University Professors e Robert Warrior, il direttore del dipartimento dove Salaita avrebbe dovuto insegnare, che ha detto che “civiltà è ciò che ci si aspetta da noi nei campus, ed è una realtà che terrorizza”. Alcuni gruppi di studenti della University of Illinois hanno inscenato manifestazioni a favore di Salaita; mentre una minoranza di professori ha preso posizione a fianco dell’università, spiegando che i tweet di Salaita promuovono soltanto “odio, fanatismo e aggressione”.

L’affaire Salaita è però davvero esploso quando un giornale locale, la News Gazette di Urbana, ha pubblicato le e-mail che un gruppo di facoltosi finanziatori privati dell’università soprattutto ex-allievi, ha inviato all’ufficio del preside, chiedendo la rimozione del professore. “Come ebreo, e affezionato a Israele, non trovo altro modo per far sentire la mia voce”, era scritto in una mail che annunciava lo stop alle donazioni. Una coppia diceva: “Mettiamo fine ai finanziamenti all’università e chiederemo ai nostri vecchi compagni di fare altrettanto. Sperando che questo taglio vi smuova, in un modo che la morale, il buon senso e la decenza non sono riusciti a fare”.

L’università ora nega che le minacce di tagli alle donazioni abbiano contato nella decisione di allontanare Salaita. “Non c’entrano le sue opinioni, c’entra la natura incendiaria dei suoi commenti, che non può trovar posto in democrazia”, ha spiegato un portavoce. Durante una conferenza stampa convocata martedì, la prima dall’inizio del caso, Salaita ha invece detto che le e-mail sono “parte di uno sforzo in tutto il Paese da parte di gruppi ricchi e ben organizzati per attaccare e mettere a tacere studenti e professori pro-Palestina”. Il rischio, per Salaita, è quello di creare “un’eccezione palestinese al primo emendamento”. In altre parole, la libertà d’espressione vale, ma non quando si parla di Palestina.

Non si sa ancora cosa deciderà il professore licenziato. Per ora, Salaita si è limitato a chiedere il reintegro, accennando alla possibilità di fare causa all’università; che ha offerto una compensazione in denaro, ma nessun reintegro. La crisi ha comunque già creato contraccolpi negativi per la University of Illinois. In segno di protesta, diversi accademici hanno cancellato le loro lezioni e conferenze nel campus. David Blacker, professore di legge del Delaware, ha annullato un seminario il prossimo 29 settembre spiegando che il caso Salaita mostra “la vulnerabilità della libertà accademica”. Il caso quindi si allarga e diventa sempre più imbarazzante per la University of Illinois, che si trova di fronte a una scelta difficile: seguire il volere dei donatori, perdendo però gli accademici; o dare ragione agli accademici, rinunciando ai soldi dei finanziatori.

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