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Fukushima: perdere la propria terra due volte, la difficile scelta degli abitanti

Dopo essere stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni per l’alto livello di radiazioni dopo l’incidente nucleare del 2011, ora gli ex abitanti dell’area attorno alla centrale di Fukushima Daiichi devono prendere un’altra grave decisione. Quella, cioè, di lasciare i propri terreni perché venga costruita una struttura di stoccaggio di materiale contaminato proveniente dall’impianto nucleare e dall’area circostante.

Non è un consenso facile da dare, visto che da più di tre anni i rifugiati delle città di Futaba e Okuma, dove si trova l’impianto, si trovano a vivere in moduli abitativi provvisori in altre zone della stessa regione. Solo pochi hanno deciso di lasciare l’area e di trasferirsi altrove nell’arcipelago, definitivamente. Ad aprile del 2014 nella sola prefettura di Fukushima erano ancora circa 150mila gli sfollati. Alcuni  hanno lasciato le proprie case perché comprese nella trentina di chilometri del raggio d’evacuazione dalla centrale. Altri per scelta, perché non si sentivano al sicuro dove vivevano. La nuova richiesta riduce le speranze di poter tornare un giorno nelle proprie case.

Il piano è stato presentato come la fase iniziale per procedere con la ricostruzione di Fukushima. Al momento, infatti, il materiale inquinato è raccolto e collocato in circa 50mila siti in tutta la prefettura, nei giardini di case private, ma anche nei cortili delle scuole e nei parchi pubblici. All’interno di sacchetti spesso all’aria aperta, alla portata di roditori e altri animali, e da cui più volte sono state rilevate perdite.   

A rallentare le trattative con i residenti in questi mesi c’era anche un aspetto economico. Negli anni seguiti all’esplosione dei reattori i terreni dell’area si sono rivalutati meno il prezzo di vendita proposto ai proprietari per collocare la struttura era tpiùbasso. Da qualche giorno il governatore della prefettura Yuhei Sato ha dichiarato di voler coprire la differenza tra il valore di mercato attuale e quello che avrebbe avuto gli stessi terreni prima della contaminazione. E così, con questa promessa, si è dato il via libera alle trattative per la designazione del posto e per iniziare i lavori di costruzione.

Per assicurare la popolazione che si tratta di una soluzione a termine, si è stabilito che il finanziamento durerà per 30 anni. Ma il sospetto che i tempi non saranno rispettati e che diventerà una soluzione definitiva è molto diffuso, soprattutto tra chi vive negli alloggi temporanei da anni.

Yoshio Mochizuki

Ora la palla passa nelle mani del nuovo ministro per l’ambiente Yoshio Mochizuki, nominato dopo il rimpasto di governo di inizio mese. Il suo compito più arduo sarà quello di trattare con circa 2mila residenti i cui terreni sono siti candidati per il nuovo progetto.
Dovrà anche recuperare la stima persa dal suo predecessore, Nobuhiko Ishihara, che aveva infiammato la discussione durante l’estate, dicendo che alla fine si sarebbe risolto tutto con i soldi. E che forse, anche per queste affermazioni, è stato rimosso dal suo incarico.