Il mercato del credito si apre anche alle compagnie di assicurazione. Fondamentale però che alle assicurazioni siano garantiti adeguati spazi di manovra nella selezione delle imprese meritevoli di finanziamento. L’esempio dei subprime e i rischi posti dai gruppi misti.
di Carlo Milani (Fonte: lavoce.info)
Credito anche dalle assicurazioni
Tra le materie toccate dal decreto competitività, recentemente convertito in legge (Dl 91/2014), uno spazio importante è riservato all’apertura del mercato del credito alle compagnie di assicurazione, soggetti che in passato non potevano partecipare direttamente all’intermediazione creditizia. Il Governo Renzi, con questo intervento, ha proseguito la strada inizialmente intrapresa dall’esecutivo di Mario Monti, e successivamente anche da quello di Enrico Letta, di offrire altre fonti di finanziamento per le imprese rispetto al canale bancario, soprattutto nell’attuale contesto di stretta creditizia (credit crunch). (1)
Come accade per quasi ogni legge emanata nel Bel paese, “il diavolo sta nei dettagli”, o meglio nei decreti e nei regolamenti attuativi. La norma, infatti, prevede che gli istituti di credito continueranno a svolgere un ruolo fondamentale nelle operazioni di finanziamento, imponendo che la banca “trattenga un significativo interesse economico nell’operazione fino alla scadenza dell’operazione” (articolo 22, comma 4, lettera b). La questione che andrà ora chiarita sono le modalità attraverso cui il sistema bancario continuerà a “trattenere” l’interesse economico.
L’esempio dei subprime
Se da un lato chiamare in causa gli istituti di credito in questa fase iniziale può rappresentare un’opportunità, data l’esigenza che nelle assicurazioni si formino quelle competenze necessarie a operare correttamente sul mercato del credito, dall’altro uno stabile coinvolgimento delle banche non appare auspicabile. Il semplice mantenimento di parte del rischio in capo agli istituti di credito non è infatti sufficiente a limitare l’emergere di situazioni di azzardo morale.
Un chiaro esempio al riguardo è offerto da quanto avvenuto negli Stati Uniti sul mercato dei mutui subprime prima della sua implosione nell’agosto del 2007. Questi mutui ad altissimo rischio venivano erogati dal sistema bancario statunitense, ma poi venivano cartolarizzati e ceduti a società veicolo (special purpose vehicle, Spv), sempre riconducibili ai gruppi bancari, che successivamente li impacchettavano in un pool di crediti (cosiddetti collateralized debt obligation, o Cdo). (2) Il pacchetto di crediti così formato, che poteva includere anche migliaia di singoli mutui subprime, veniva quindi suddiviso in tre diverse tranche in base al rischio sottostante: i) la tranche equity, quella più rischiosa in quanto, in caso di insolvenza dei mutuatari, doveva coprire per intero le prime perdite subite fino al raggiungimento di una certa soglia (generalmente il 5 per cento); ii) la tranche mezzanino, che copriva le successive perdite fino a una soglia più alta (generalmente dal 5 al 25 per cento), e che quindi aveva un rischio medio; iii) la tranche senior, che veniva “aggredita” solo per la restante parte delle perdite, e quindi la meno rischiosa.
La tranche mezzanino e quella senior venivano poi cedute sul mercato, oppure riaccorpate in altri pool di Cdo. Generalmente le banche, soprattutto di maggiori dimensioni, tendevano a trattenere la tranque equity, quella più rischiosa, al fine di segnalare al mercato la fiducia circa la buona qualità dei titoli cartolarizzati.
Tutto questo meccanismo è però clamorosamente collassato e ciò è accaduto soprattutto per il fenomeno della selezione avversa. Un’evidenza empirica al riguardo ci è offerta da uno studio di Benjamin Keys, Tanmoy Mukherjee, Amit Seru e Vikrant Vig, che ha esaminato un ampio campione di mutui cartolarizzati secondo le regole standard previste dalle agenzie governative Fannie Mae e Freddie Mac. (3) Quelle regole, nello specifico, imponevano ai mutui una soglia minima di credit score per poter essere inclusi nei titoli cartolarizzati. In altri termini, i mutuatari con un merito creditizio troppo basso, e quindi con una più alta probabilità di default, non dovevano essere inclusi nei mutui cartolarizzati che poi avrebbero ricevuto la garanzia delle due agenzie. Keys, Mukherjee, Seru e Vig hanno riscontrato che i mutuatari con un giudizio prossimo alla soglia, ma in ogni caso superiore al livello minimo e quindi beneficiari della garanzia di Fannie Mae e Freddie Mac, hanno evidenziato ex-post un probabilità di default tra il 10 e il 25 per cento più alta rispetto a quella dei soggetti con uno score di poco inferiore alla soglia.
Tale controsenso economico, per cui a un giudizio sul merito creditizio più elevato dovrebbe corrispondere una minore probabilità di mancato pagamento, viene spiegato dagli autori come evidenza del fatto che le banche si siano liberate, attraverso le cartolarizzazioni, dei finanziamenti più rischiosi, mantenendo invece quelli con una più alta probabilità di recupero, e nel fare ciò hanno sfruttato le informazioni qualitative (soft information) a loro disposizione.
Tornando al caso italiano, lasciare il “pallino” della selezione delle imprese meritevoli di essere finanziate alle banche potrebbe determinare anche nel nostro mercato l’emergere del fenomeno della selezione avversa, per cui gli istituti di credito manterrebbero le imprese migliori, scaricando sulle assicurazioni il peso maggiore delle aziende in cui la probabilità di insolvenza è più elevata.
Per liberalizzare efficacemente il mercato del credito, e prevenire distorsioni che potrebbero compromettere la stabilità finanziaria, è quindi importante che alle compagnie di assicurazione vengano offerti adeguati spazi di manovra nella selezione delle imprese meritevoli di essere finanziate, evitando allo stesso tempo potenziali arbitraggi regolamentari, soprattutto nei gruppi misti bancario-assicurativi, come giustamente evidenziato da Giorgio Gobbi, capo del servizio di stabilità finanziaria della Banca d’Italia. (4)
Note:
(1) Al Governo Monti si deve il primo tentativo, non pienamente riuscito, di rivitalizzare il mercato dei cosiddetti mini-bond.
(2) I mutui subprime sono crediti finalizzati all’acquisto di abitazioni concessi a prenditori aventi uno scarso merito creditizio, ad esempio per il basso reddito e la contemporanea presenza di altri debiti.
(3) Keys Benjamin J, Tanmoy Mukherjee, Amit Seru, Vikrant Vig, 2010, “Did securitization lead to lax screening? Evidence from subprime loans”, The Quarterly Journal of Economics 125:1, 307-362.
(4) Gobbi G., 2014, Audizione nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 1541, concernente la conversione in legge del decreto legge 24 giugno 2014, n.91, Banca d’Italia.
Bio dell’autore
Carlo Milani è economista presso il Centro Europa Ricerche (CER). Svolge prevalentemente la sua attività di ricerca nel campo del banking, ambito nel quale ha pubblicato diversi studi su riviste nazionali e internazionali. E’ inoltre esperto di modelli econometrici utilizzati per la previsione e la simulazione di scenari macroeconomici. Per molti anni ha lavorato presso l’Ufficio Studi dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI). E’ stato visiting researcher presso la London School of Economics (LSE).
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