"È un progetto senza precedenti in Italia”, parola del sindaco della Dotta Virginio Merola e del rettore Ivano Dionigi. Una cessione ha sollevato più di qualche polemica, specie da parte dei collettivi, convinti che il progetto si tradurrà “in una svendita di palazzi storici per finanziare un polo universitario d’élite, per baroni”
Un’ex area militare riconvertita in un campus universitario all’americana, e nove palazzi storici di proprietà dell’Ateneo di Bologna messi in vendita per finanziarlo. “È un progetto senza precedenti in Italia”, parola del sindaco della Dotta Virginio Merola e del rettore Ivano Dionigi, quello che ha preso il via lo scorso febbraio all’ombra delle Due Torri per la realizzazione del nuovo polo accademico dell’Università di Bologna tra il centro storico e i celebri colli bolognesi, nella maxi area in disuso denominata Staveco, cioè Stabilimento per i veicoli da combattimento. Dove in passato, appunto, si riparavano i mezzi corazzati. 93.288 metri quadrati di terreno, 45.500 dei quali occupati da edifici oggi in stato d’abbandono, in cui troveranno collocazione cinque dipartimenti, Informatica, Arti, e la scuola di Economia, statistica e management, incastonati in un’area completamente verde che collegherà la città a San Michele in Bosco, porta d’accesso alla collina. E circondati da 15.000 metri quadrati di aule e laboratori didattici, servizi per gli studenti, il Collegio d’eccellenza, una mensa, la palestra e un faculty club da college a stelle e strisce. “Il progetto, per il quale Bologna è prima in assoluto in Italia – spiega il direttore dell’Agenzia del demanio Stefano Scalera – in pratica, ridisegnerà la città”. Alla già presente cittadella universitaria, costruita attorno a via Zamboni, cuore accademico della Dotta, infatti, si affiancherà il nuovo polo, che di fatto servirà anche a decongestionare l’area affollata di dipartimenti e facoltà.
Per realizzarlo, il Comune di Bologna ha ceduto gratuitamente l’area ex Staveco all’Alma Mater, che metterà in vendita nove palazzi storici allo scopo di finanziare i lavori. Secondo il Piano delle dismissioni, votato all’unanimità dal consiglio di amministrazione dell’Università di Bologna lo scorso 9 settembre, sulla base dei tempi dettati dall’accordo siglato a marzo tra il rettore Dionigi e il sindaco Merola, per ottenere circa l’80% delle risorse necessarie a realizzare il campus all’americana, nello specifico, Unibo cederà Palazzo Malvezzi Campeggi, via Zamboni 22, la storica sede di Giurisprudenza, il Disa, Dipartimento di Scienze aziendali, che da 2005 si trova nella ex sede della Centrale dei Telefoni di Stato, in via Capo di Lucca, realizzata a inizio anni 70’, l’ex clinica Neurologica di via Foscolo. E ancora, Palazzo Marescotti Brazzetti, con gli affreschi dei Rolli e del Caccioli, e lo scalone barocco di Gian Giacomo Monti, che un tempo era occupata dal Partito Comunista bolognese, la sede del Dipartimento di Informatica, di Scienze statistiche, un blocco di aule in via Ranzani, Villa Levi a Reggio Emilia, che ospita l’azienda agraria dell’Università di Bologna, e Villa Guidalotti a Tolara di Sopra di Ozzano. Più alcuni uffici e un terreno nel quartiere Navile, che avrebbe dovuto ospitare la nuova sede della facoltà di Farmacia. In tutto, circa 40.000 metri quadrati di immobili.
Una cessione di massa che in città ha sollevato più di qualche polemica, specie da parte dei collettivi, convinti che il progetto si tradurrà “in una svendita di palazzi storici per finanziare un polo universitario d’élite, per baroni”. Una sorta di piccola Harvard, insomma, per ricchi. Ma sia il sindaco, sia il rettore respingono ogni accusa: “Attraverso l’accordo tra Comune e Università, all’interno dell’ex area Staveco si realizzerà un polo universitario a vocazione internazionale, un parco che unirà il centro storico con la collina e altri servizi per la socialità – spiega Merola – Cosa ci guadagna la città? Rinunciando a quell’area, consegnandola all’Università, si arriverà a un’importante riqualificazione urbana, sarà aperta a tutti i cittadini e al tempo stesso investiremo sui giovani, sulla conoscenza e sul diritto allo studio”.
Inizialmente, dell’area che un tempo fu del ministero della Difesa, e poi del Comune, si voleva fare un centro residenziale a due passi dal centro e da uno dei principali parchi della città, i Giardini Margherita, che si allungano all’ombra dei colli. L’ipotesi, però, è impraticabile per via del piano urbanistico cittadino, così dopo quasi 30 anni di discussioni relative al futuro dell’ex Staveco, che prima di un’officina di riparazioni per mezzi corazzati fu laboratorio pirotecnico e arsenale militare, si è giunti all’idea del polo universitario. Il progetto è ancora agli step iniziali, e affinché i primi cantieri partano ci vorranno almeno altri due anni: i tempi tecnici, cioè, necessari al Comune per valutare i palazzi che l’Università intende cedere, per aprire un Fondo immobiliare amministrato da una Sgr, una Società di gestione e risparmio, con il compito di valorizzare il patrimonio, e bandire l’appalto. Tuttavia, almeno sul fronte finanziario, l’operazione dovrebbe essere coperta. “Non so ancora – spiega Dionigi – quanto ricaveremo dalla dismissione, probabilmente tra il 70 e l’80% dei costi dell’operazione Staveco. Il resto, invece, sarà pagato da altri soggetti, come il ministero dell’Istruzione”.