“Riporteremo gli ostaggi in Italia, non importa come”. Lo ha detto il sottosegretario agli Esteri Mario Giro, nel giorno in cui l’Isis ha diffuso un video sulla decapitazione del cooperante scozzese David Haines. “Ogni paese è sovrano per quanto riguarda la scelta se trattare o meno” con i rapitori, ha aggiunto il ministro, facendo un implicito riferimento alla politica inglese e statunitense, contraria a scendere a patti con i jihadisti, e quindi anche a pagare ogni forma di riscatto. Così l’Italia si distanzia dalle scelte del presidente Usa Barack Obama e del primo ministro David Cameron, entrambi chiari sostenitori dell’equazione che uguaglia il pagamento di un riscatto all’Isis ad un finanziamento diretto del gruppo armato. “Si lavora in silenzio, è inutile parlare“, ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti, interpellata a proposito dei nostri connazionali sequestrati nel mondo. Il ministro ha confermato che l’attenzione del governo è la medesima per tutti e sei i casi. “Tutti e sei i rapiti sono seguiti con particolare attenzione e in maniera continua”, ha confermato il sottosegretario agli Esteri. Un tema, quello del pagamento del riscatto, fortemente dibattuto in ambito internazionale, tanto che secondo il New York Times il presidente Barack Obama, durante incontri informali, avrebbe espresso la sua irritazione nei confronti della Francia che “dice di non pagare per liberare i suoi ostaggi, e invece lo fa”.
Sei italiani rapiti nel mondo, tre in Siria
Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due volontarie rapite in Siria a fine luglio, sono state l’ultimo episodio di sequestro di cittadini italiani all’estero. Il sequestro delle due ragazze in Siria, allunga quindi la lista degli nostri connazionali sequestrati nel mondo, che arriva così a sei casi. Prima del rapimento delle due giovani ragazze, l’ultimo caso era stato quello di Marco Vallisa, il tecnico italiano sequestrato il 5 luglio in Libia. Sempre il Libia, il 22 marzo si sono perse le tracce di Gianluca Salviato, impiegato per una società che opera nel settore della costruzioni. L’uomo è stato rapito nella Cirenaica e c’è apprensione per la sua sorte, in quanto soffre di diabete e necessita insulina. Tra le pieghe del territorio siriano, si sono perse da oltre un anno anche le tracce di Padre Dall’Oglio, gesuita romano che per trent’anni, e fino alla sua espulsione nell’estate 2012, ha vissuto e lavorato nel suo Paese d’adozione in nome del dialogo islamo-cristiano. Tempo addietro era stata diffusa l’ennesima notizia, non confermata, che padre dall’Oglio era stato ucciso dai miliziani qaedisti. Attivisti locali hanno poi smentito, affermando che l’uomo è prigioniero, ma ancora vivo. Di inizio agosto un appello della famiglia ai rapitori perché facciano sapere la sua sorte. Mentre da oltre due anni non si hanno notizie del cooperante Giovanni Lo Porto, palermitano sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012, insieme a un collega tedesco, a Qasim Bela, nella provincia del Punjab, dove lavorava per la ong tedesca alla ricostruzione dell’area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011.
L’Italia libera Federico Motka, rapito insieme al britannico decapitato dall’Isis
Il cooperante scozzese decapitato dall’Isis, era stato rapito lo scorso anno in Siria con l’italiano Federico Motka. Per liberare a maggio il cooperante italo-svizzero, secondo il settimanale Panorama “l’Italia ha pagato un riscatto di 6 milioni di euro ai baia dei giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff”. Nelle mani dei sequestratori di Motka – ricorda Panorama – “rimane ancora il contractor inglese David Haines, che i terroristi dello Stato Islamico minacciano di uccidere tagliandogli la testa. Haines era proprio la guardia del corpo dell’italiano”. “I soldi – continua Panorama – sono arrivati ai rapitori di Motka attraverso un’operazione segreta che è passata dalla Turchia. Il pagamento dei riscatti per ottenere il rilascio di ostaggi è un modus operandi tipico del nostro paese, che ha irritato spesso i governi alleati di Londra e Washington fedeli alla linea dell’intransigenza contro i terroristi”.
Stati Uniti e Uk: blitz falliti e richiesta di riscatto rispedita al mittente
Gli Stati Uniti furono a un passo dalla liberazione degli ostaggi americani nelle mani degli estremisti islamici in Siria, compresi James Foley e Steven Sotloff, i due reporter decapitati dall’Isis. Ma il blitz delle forze speciali della Delta Force fallì: gli ostaggi, tra cui anche alcuni cittadini turchi, non erano più lì da almeno 72 ore. Seguendo la linea americana, anche la Gran Bretagna aveva detto di vole adottare “ogni opzione possibile” per proteggere David Haines, l’ostaggio britannico che è stata decapitato proprio come i due giornalista americani. Tanto che all’inizio dell’anno c’è stato un tentativo inglese di liberare alcuni ostaggi, compreso Haines, ma è fallito. E una volta che le operazioni militati inglesi e americane si sono rivelate dei buchi nell’acqua, ogni richiesta è stata ignorata dai Governi al centro della coalizione anti-Isis, proprio perché contrari al pagamento di un riscatto ai terroristi. Una posizione che è stata sottolineata anche da David Cameron, che ha detto di volersi impegnare affinché tutti i Paesi del G8 si comportino nello stesso modo.
Obama irritato con la Francia: “Dice che non paga per liberare gli ostaggi, e invece lo fa”
La settimana scorsa, dopo la decapitazione del secondo ostaggio Usa e alcune ore prima di annunciare la sua strategia anti-Isis, durante alcuni incontri informali alla Casa Bianca, il presidente Barack Obama ha espresso la sua frustrazione e irritazione nei confronti della Francia che paga riscatti ai terroristi per ottenere la liberazione dei suoi cittadini. Lo scrive il New York Times, citando in forma anonima alcune persone che hanno partecipato a quegli incontri. Parlando dell’assassinio di James Foley e Steven Sotloff, “Obama ha notato che gli Stati Uniti non pagano riscatti ai terroristi, ma ha ribadito la sua irritazione per il fatto che il presidente Francese Francois Hollande dice che neanche il suo Paese paga, ma in realtà lo fa”, ha scritto il Nyt. Obama, “ha anche affermato che gli americani vengono rapiti a un ritmo minore perché gli Stati Uniti non lo fanno”. Il Nyt non specifica quando Obama abbia fatto questi commenti, ma precisa che lunedì il presidente ha inviato a cena un gruppo di esperti di politica estera ed ex funzionari governativi e mercoledì in gruppo di editorialisti di grandi giornali e magazine.