Un matrimonio così si vede una volta sola nella vita. Non per lo sfarzo, né per la meraviglia dei luoghi. Ma per altre ragioni, più graffianti nella loro infinita delicatezza. Che entrano nella pelle e inchiodano le immagini a qualche pezzo d’anima. Il primo protagonista è Luciano. Che esce dalla stanza dove è stato preparato e vestito con cura. Camicia di raso grigia, elegante gilet bordeaux. Intorno le colline astigiane che accolsero lui e Alba, l’altra protagonista, quando si sposarono civilmente 18 anni fa. Accompagnato da un piccolo gruppo di amici, scende sul viottolo che porta alla minuscola cappella sotto casa, antico segno della devozione contadina. Luciano scruta le decine di invitati che gli si assiepano intorno. Quando li vede i suoi occhi hanno lampi di sorriso, come se la forza sovrannaturale dell’amicizia sfondasse la corazza maledetta che lo imprigiona.
Luciano, oggi verso i 65 e un giorno compagno di università di chi scrive, da qualche anno ha la Sla. Giunta a tradimento per fare poi il suo mestiere ufficiale con regolarità, senza imprevisti. Fino alle mani, e a tutti i muscoli. E alla tracheotomia per continuare a respirare. Gli occhi no, resistono, lo fanno comunicare, gli donano espressione. Luciano Nattino è personaggio noto nell’astigiano, ma anche nel Piemonte che sa di politica e cultura, tanto da avere meritato, proprio in vista di questo matrimonio, una bellissima pagina da Carlin Petrini su Repubblica Torino. Laureato in lingue alla Bocconi, fu tra i protagonisti di una contestazione che portò le autorità accademiche a chiudere per rappresaglia la facoltà pensata per gli interpreti. Poi si dedicò ai suoi molti progetti pubblici. Insegnante, diventò assessore all’Istruzione, punto di riferimento nel Pci di Asti, e la passione infinita per la riscoperta delle tradizioni popolari, che andò a riprendersi tra le campagne e le colline. Rimettendole sapientemente in scena.
Le feste, gli amori, il lavoro, le processioni religiose. Autentici paesaggi viventi e popoli itineranti, di giorno e di notte, tra canti e liturgie. Cose fantastiche di cui era il regista discreto. Insieme con il teatro civile, e la fondazione della compagnia del “Mago Povero”. L’uomo che manda sorrisi riconoscenti con un lampo impercettibile degli occhi, accompagnato su una complicata carrozzella, ha scarpinato per decenni in cerca di tradizioni, folclore, letteratura nascosta. La cappella rurale, così piccola “da non contenere Dio”, è forse la metafora fiabesca di quel lavoro tenace e intelligente. Tutti festeggiano. Festeggia soprattutto Alba, che trova in ogni dettaglio motivi di risate e di allegria. Vestita di bianco, grida il suo amore per Luciano. Lui ricambia facendo leggere durante la cerimonia quel che per lei ha scritto con Silvana, antica compagna di università. Decanta lo “stupendo, pazzesco, meraviglioso sentimento che Alba mi dimostra ogni giorno e che solo superficialmente chiamiamo amore”. Unica voce visibilmente commossa è quella del vescovo di Asti, che ha vissuto negli anni l’avvicinamento di Luciano, già prima della malattia, alle domande della religione.
Camminatore di domande, come si è definito. Quando la piccola folla risale il viottolo e giunge allo spiazzo laterale della casa, trova tavole imbandite di vino, di salami, di insalate russe (fatte dalla signora Lella, la mamma di Alba), di formaggi della gonfia terra piemontese. Luciano ringrazia dal suo computer speciale. Scrive puntando gli occhi sulle lettere dell’alfabeto. E i destinatari, avvertiti, leggono i suoi messaggi.
Poi un improvviso suono di fisarmonica e tamburello giunge da dietro l’orto, donne e uomini in costume spuntano dal verde con gesti di danza intonando musiche contadine. Allegre e licenziose. Quasi che le tradizioni popolari venissero anche loro a festeggiarlo. Gli si dispongono intorno, lo accarezzano con la dolcezza e lo sberleffo delle strofe. I grembiuli e le camicie bianche delle donne, i cappelli e i panciotti scuri degli uomini. È proprio il suo teatro. Che lo ha portato a mettere in scena in luglio uno spettacolo (Un regalo fuori orario) che ha stordito di bellezza la critica, e che andrà a Parigi. È il suo teatro che continua. Nonostante tutto, a dispetto di tutto. Lo conferma sottovoce un’attrice. Ci vediamo con regolarità, confida, e discutiamo delle nuove sceneggiature. Dà i suoi suggerimenti. Certo che ci riesce. Anzi, siccome deve scriverli puntando l’occhio sul computer, è diventato conciso, ha acquistato un dono di sintesi acutissimo, è ancora più bravo.
Mi avvicino a Luciano. Gli ricordo un episodio che ho letto. Di quando scelse di abbandonare l’insegnamento per il partito, e versò al partito tutta la liquidazione. “Te la ricordi la liquidazione, Luciano? Ma oggi chi lo farebbe?”. Luciano ride con gli occhi verdi, come prima; ma stavolta ride così di gusto che vien fuori perfino un piccolo, miracoloso movimento della mascella. Anche quelle donazioni, un giorno, fecero parte delle tradizioni popolari. Perciò nella risata c’è un pezzo di storia. Di Luciano, del Pci. Di un’altra Italia. Pronta a spuntare ancora gioiosamente fuori dalle siepi.
il Fatto Quotidiano, 14 Settembre 2014