Ogni giorno centinaia di persone studiano nelle diverse sale. Tanti altri vi ricorrono alla ricerca del testo altrimenti “introvabile”. Frequentatori assidui e abituali. Di ogni età e nazionalità. Dalle 8,30 alle 19. Dal lunedì al venerdì. Oltre che la mattina del sabato. Accade alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, in viale Castro Pretorio, fra la Città Universitaria e la Stazione Termini. Il complesso inaugurato nel gennaio 1975, di oltre 50mila mq, articolato in quattro corpi, realizzato in cemento armato, vetro e alluminio. Complesso che con i circa 7 milioni di volumi a stampa, gli 8mila manoscritti, le 10mila stampe e disegni e le 20mila carte geografiche, ospita la più grande biblioteca italiana. Che con il 2001 ha completato un vasto progetto di ristrutturazione architettonica e di riqualificazione e razionalizzazione degli spazi e dei servizi. Lavori che hanno comportato anche il ridisegno dell’area esterna all’ingresso, con un ripensamento del piano di camminamento, rialzato rispetto al passato. Spazio quello prospicente le porte di accesso dedicato per lo più alla socializzazione. Ma anche a momenti di pausa. Magari per andare con la sguardo al verde che quasi perimetra la proprietà della Biblioteca.
Ma quasi nessuno si sofferma su quel che si vede, sotto la struttura della Biblioteca, tra i pali di cemento sui quali è stata realizzata. Sono i resti dei Castra Praetoria, l’accampamento delle guardie permanenti dell’imperatore costruito da Tiberio tra il 21 e il 23 d. C., individuati nel corso degli scavi per la realizzazione della Biblioteca. Ma estesi anche all’interno della vicina Caserma Macao. Parti di otto abitazioni, oltre a quelli di una grande costruzione seminterrata identificata come una sorta di magazzino. Strutture conservate per breve altezza, lì sotto. Quasi nascoste. Tra lattine di coca cola e bottigliette d’acqua. L’erba che cresce spontanea. Lo stato di conservazione non può che essere quanto mai precario, considerato che sono esposte agli agenti atmosferici. Fatta eccezione per le parti, più cospicue, “protette” proprio dall’ingombro della Biblioteca. Qui, a breve distanza da uno dei parcheggi utilizzati dai dipendenti, niente erbacce. Ma ancora abbandono e degrado. Anche se diverso.
Il perimetro degli ambienti antichi è riutilizzato. Variamente. In uno ci sono delle assi di legno spezzate. In un altro dei materiali edilizi di risulta. In uno, ancora, cartoni e coperte. Evidentemente il riparo di un senza tetto. Manca qualsiasi tipo di indicazione sull’esistenza di queste strutture. Sia all’esterno che all’interno della Biblioteca. Per cui non ci si può stupire che non sia segnalato neppure il rinvenimento, negli anni Ottanta del Novecento, dei resti di un edificio nelle indagini lungo il viale di accesso alla struttura. Così come non sono segnalati i resti di stanze con affreschi e pavimenti a mosaico su due strati sovrapposti, identificati negli scavi per la realizzazione della Biblioteca, in prossimità del muro di cinta del complesso antico, verso viale del Policlinico Proprio in questi mesi la Soprintendenza archeologica di Roma sta procedendo allo scavo di uno di questi a ridosso di via della Sforzesca. Così anche dall’esterno del cantiere è agevole osservare le caratteristiche costruttive e, soprattutto, le decorazioni pittoriche sulle pareti.
Un vero peccato che quel pezzo di Roma antica rimanga lì, sotto la Biblioteca. Dimenticato. Circostanza questa, sfortunatamente non molto dissimile a quella di moltissime altre testimonianze archeologiche, non solo della Città. Certo ad aumentare il rimpianto in questa occasione è il fatto che ci si trovi nell’area di “una delle due biblioteche statali italiane che hanno il compito principale di raccogliere e conservare tutte le pubblicazioni italiane”. Ad accrescere il disappunto c’è la consapevolezza che ci si trovi in un luogo nel quale non solo si raccoglie Cultura, ma anche la si offre in consultazione. Non di rado ai fini di una produzione. Senza contare che la Biblioteca Nazionale Centrale costituisce una diretta emanazione del Mibact. Insomma risulta ancora più doloroso, se non inspiegabile, osservare l’abbandono di quell’area archeologica lì. Sotto una Cattedrale del sapere. Come è possibile sperare in aree e monumenti archeologici in migliori condizioni di conservazione e presentati al pubblico ricorrendo ad una adeguata pannellistica, se anche quelli che si trovano ad insistere nell’area di una Biblioteca Nazionale sono lasciati alla più totale incuria?
Anche per questi motivi la sfida di Andrea De Pasquale, il nuovo direttore della Biblioteca Nazionale Centrale, sembra quasi impossibile. Trasformare la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma nella Biblioteca Nazionale d’Italia facendola diventare anche un punto di riferimento per la cultura del Novecento. E renderla un polo di attrazione culturale, con aperture serali. E’ così che gli interrogativi si moltiplicano. Lasciando emergere questioni irrisolte. Anche perché mai realmente affrontate. Una Biblioteca Nazionale d’Italia può tralasciare l’esistenza di quei resti antichi, così significativi per la storia della Città? Può proporsi la valorizzazione del suo quasi sconfinato patrimonio documentario, quando continua ad ignorare quelle strutture che invece potrebbero accrescere il suo appeal? Se rivalutate.
Da quel che si vede alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, forse futura Biblioteca Nazionale d’Italia, sembra riproporsi l’ennesimo caso di progetto “a metà”. Un gigante dai piedi di argilla.