Giorgio Nava ha lavorato per 17 anni nell’import-export dei fiori, poi nel 2002 ha deciso di cambiare la sua vita. In Sudafrica ha aperto cinque locali di successo, che propongono con uno stile fuori dagli stereotipi una cucina italiana classica e di qualità. I guadagni sono più bassi rispetto all’Europa, “ma sono compensati dalla qualità della vita”.
Cinque locali, 180 dipendenti, da tre anni il suo “Carne SA” detiene il titolo di miglior ristorante di carne di Cape Town. “Non male per un italiano in una città in cui il barbecue è una tradizione e vi sono quasi 800 steak house”, afferma con soddisfazione lo chef-imprenditore Giorgio Nava.
Milanese, 50 anni appena compiuti, in Sudafrica sta vivendo una seconda vita. Figlio di un dirigente della Richard Arginori, Giorgio ha studiato alla scuola agraria e appena diplomato ha vinto una borsa di studio per lavorare in un’azienda di floricoltura nei Paesi Bassi. In poco tempo ha creato una sua società, con la quale per 17 anni ha operato come broker nell’import-export di fiori fra Olanda e Italia. “Sul finire degli anni ’90, quando ho capito che con la globalizzazione il mestiere dell’intermediario andava scomparendo, ho deciso di cambiare radicalmente e rincorrere quello che era stato il mio sogno per quasi 40 anni: fare il cuoco”. Sin da ragazzo Giorgio aveva l’abitudine di passare il suo tempo libero con gli chef nelle cucine dei ristoranti. “Ero affascinato dal loro lavoro, cercavo di imparare il più possibile”. Ma nella Milano bene degli anni ’80 non era un mestiere visto di buon occhio.
“A Cape Town sono arrivato nel 2002. Ero venuto varie volte in vacanza e mi ero accorto che mancava l’offerta di una cucina italiana autentica. A portarla ci ho pensato io. La licenza del primo locale, ‘95 Keerom’, mi è costata appena 20 euro. Tutte le autorizzazioni necessarie le ho avute in pochi giorni. Questa facilità mi ha incoraggiato, in Italia sarei stato sepolto dalla burocrazia”. Poco tempo dopo ha aperto “Carne SA” e nel giro di un paio d’anni sono arrivati anche “Caffè Milano”, per colazioni e pranzi e il “Mozzarella Bar”. La filosofia di tutti i ristoranti è sempre la stessa, proporre una cucina classica e pulita. “Si può innovare, ma le ricette tradizionali vanno seguite come il Vangelo, possono essere interpretarle ma non stravolte. Non c’entra nulla con il cibo italiano una pizza con avocado o ananas, una pasta scotta o una bistecca coperta di salse”.
Dell’Italia, nei locali di Giorgio, non si offre solo cibo, ma anche un’immagine lontana dagli stereotipi. “Con i miei piatti cerco di cancellare quell’idea molto diffusa che il mio Paese sia mafia, spaghetti e bunga bunga. Cerco di farne assaggiare una fatta invece di passione, creatività, duro lavoro e buon gusto. A iniziare dall’arredamento, sobrio ma elegante. Design italiano, dalle sedie alle posate. Combatto contro le tovaglie a quadretti bianche e rosse, le corone d’aglio appese alle pareti e i fiaschi di vimini sul tavolo. L’Italia non è più questo. È un’immagine posticcia che non ci appartiene più”.
Anche sugli ingredienti mantiene un ferreo controllo. Provengono quasi tutti dalla sua barca di pesca d’altura e dalla sua fattoria in Karoo, in cui ha degli allevamenti di bovini di razza Romagnola. Mentre l’aceto balsamico, il parmigiano, il prosciutto San Daniele e Parma, ossia i prodotti unici, sono importati dall’Italia. “Con il diminuire del valore del Rand sudafricano costano sempre di più, ma né posso farne a meno, né posso alzare i prezzi nei menù. Il palato locale non è ancora abbastanza sofisticato da capirne il valore”. Proprio abituare il gusto dei sudafricani alla cottura della carne all’italiana è stata la sfida più grande. “Un ramoscello di rosmarino e un filo d’olio sembravano una cosa assurda in un Paese in cui si è abituati a usare ogni forma di salse”. Ma alla fine ha fatto breccia. Giorgio lavora nei suoi locali ogni sera. “Sono io che preparo i miei chef e che vigilo che non si facciano trascinare dalla passione per la cucina fusion, che qui ora è molto di moda. Per farli crescere i più promettenti li mando per un periodo in Italia da degli amici ristoratori. Quando tornano sono diversi, capiscono meglio quello che io cerco di realizzare”.
I clienti sono molti, fra loro vi sono anche tanti turisti europei, che dai Mondiali del 2010 in poi hanno scoperto il Sudafrica, anche grazie al cambio favorevole per l’Euro. L’unica pecca sono i guadagni. “Paragonati all’Europa sono molto bassi. In uno dei miei locali un pasto di tre portate con una buona bottiglia di vino costa 20 euro. Lo stipendio di un cuoco è 1000 euro. Quasi la metà rispetto all’Italia. Ma sono cifre che qui bastano per stare bene e che vengono compensate da un’alta qualità della vita. E poi questo Paese ha un futuro. L’Italia non so”.