La ripresa dell’Europa continua a essere rallentata da un divario senza precedenti tra il centro e la periferia della zona euro. Questa polarizzazione non solo è fonte di squilibri sociali, ma rappresenta un pericolo per la stabilità stessa dell’Ue. La ripresa economica, la coesione sociale e la riforma dell’Unione economica e monetaria (Uem) sono legate l’una con l’altra. Già nel 2012 la relazione dei quattro presidenti aveva concluso che solo rafforzando l’architettura dell’Uem avremmo potuto assicurare ripresa. È necessaria una capacità di bilancio a livello dell’Uem che consenta agli Stati membri di condividere parzialmente i rischi dei rallentamenti ciclici. Nel suo recente discorso a Jackson Hole, Mario Draghi ha riconosciuto che esiste una forte correlazione tra politiche macroeconomiche e situazioni occupazionali divergenti nell’Unione monetaria. Certo, l’impegno della Bce a salvaguardare l’integrità dell’area euro e la recente approvazione dell’Unione bancaria sono risultati importanti, ma non bastano a garantire la solidità dell’Uem e una ripartizione più equa della prosperità.

Negli ultimi mesi i dibattiti politici sulla riforma dell’Uem si sono concentrati principalmente su una maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole di bilancio. D’altro canto, questioni fondamentali relative all’Unione monetaria possono facilmente sfuggire dalle agende politiche ad alto livello. Il rischio è che oggi, nonostante le esperienze negative, il dibattito politico si chiuda nuovamente con un modesto piano di investimenti, rimandando la riforma sistemica dell’Uem fino alla prossima fase della crisi finanziaria. Oggi e in tutti i prossimi cicli l’impegno principale deve essere rivolto a ripristinare la domanda aggregata e a mantenere l’attività economica in Europa. Per ottenere questo, l’adeguamento macroeconomico all’interno della zona euro deve essere sufficientemente sofisticato. Il ripristino della competitività nell’Uem non può dipendere interamente dalla svalutazione interna, che in dosi eccessive può essere letale anziché fare bene. I Paesi con surplus elevati devono riconoscere le proprie responsabilità e favorire gli investimenti e i salari in modo logico e tempestivo. Il punto non è tanto mettere in discussione le norme vigenti in materia di coordinamento fiscale all’interno dell’Uem. Ma più sono rigidi i vincoli sui bilanci nazionali, più è necessario un meccanismo affidabile e ben strutturato di trasferimenti fiscali anticiclici tra i paesi della zona euro.

Dopo anni di dibattiti fra esperti sono state individuate diverse possibili soluzioni, secondo le quali i paesi dell’Uem ripartirebbero parzialmente i costi di un’assicurazione contro la disoccupazione a breve termine. La disoccupazione a breve termine è strettamente legata all’andamento del ciclo ed è un problema economico e sociale. È facile da capire e può essere misurata rapidamente. L’opzione principale è una riassicurazione a livello dell’Uem dei regimi nazionali contro la disoccupazione, che si attiverebbe solo in caso di sviluppi straordinari. La seconda opzione è la parziale condivisione dei regimi nazionali attraverso un “nocciolo comune” dell’assicurazione contro la disoccupazione. Entrambe le soluzioni potrebbero e dovrebbero essere accompagnate da un maggiore coordinamento per migliorare il funzionamento delle istituzioni del mercato del lavoro nazionali.

Un regime europeo di assicurazione di base contro la disoccupazione potrebbe offrire uno stimolo a breve termine, limitato e prevedibile, alle economie che stanno subendo un rallentamento ciclico. Si concentrerebbe unicamente sulla disoccupazione strutturale e non congiunturale ed eviterebbe azzardi morali tramite chiare misure di salvaguardia contro i trasferimenti netti di lunga durata verso o da un determinato paese. I regimi di indennità di disoccupazione nazionali in Europa rimarrebbero diversificati, ma la base comune offrirebbe uno stabilizzatore di bilancio efficace contro gli choc asimmetrici. Rispetto alla gestione delle crisi ex post e a vari modelli discrezionali di trasferimento, un regime europeo di base di assicurazione contro la disoccupazione sarebbe relativamente economico ed efficiente, proprio per via della sua automaticità. Soprattutto, un ammortizzatore fiscale a livello dell’Uem contribuirebbe a evitare che crisi congiunturali causino divergenze di lunga durata all’interno dell’Unione monetaria. Servirebbe anche a rispondere alla domanda degli elettori europei scoraggiati: “Dov’è l’Ue quando serve?”.

Un regime di base di assicurazione contro la disoccupazione non vorrebbe dire “più Europa” fine a se stessa e non sarebbe un’intrusione di “Bruxelles” nell’attività politica nazionale. Al contrario, il meccanismo rafforzerebbe l’autonomia di ciascuno Stato membro proprio attraverso la stabilizzazione dell’Uem sulla base di norme trasparenti. Indipendentemente dallo strumento che verrà scelto, nei prossimi anni sarà necessario rafforzare in modo significativo stabilità e coesione e, attraverso queste, il potenziale di crescita della zona euro. Ma perché questo accada, dovremo aprire un importante dibattito.

di László Andor, Commissario europeo per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione. Questo articolo, inviato al Fatto Quotidiano, è una risposta a quello dell’economista Valeria Cipollone pubblicato la scorsa settimana sul Fatto Economico

Da Il Fatto Quotidiano del 10 settembre 2014 

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