Non ci sono le coperture strutturali per mantenere gli 80 euro anche per i prossimi anni, sul lavoro l’unico effetto è l’innalzamento delle barriere tra contratti temporanei e definitivi, sulla politica industriale solo annunci a parte un appello a non licenziare, sulla scuola vari annunci “ma non sono stati presentati disegni di legge o provvedimenti ministeriali”. A fare la radiografia dei primi sei mesi di governo Renzi è lavoce.info. Il breve rapporto mette sotto osservazione anche la giustizia civile, il cosiddetto “Sblocca Italia” (il cui testo ufficiale è stato firmato dopo settimane di annunci), le riforme istituzionali e il rapporto con l’Europa.
“Gli 80 euro? Compromessa l’efficacia del sostegno ai consumi”
La misura più forte dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi è stata quella della riduzione del cuneo fiscale sul lavoro attraverso l’ok agli 80 euro dal maggio scorso, dalla quale comunque – ricorda lavoce.info – sono rimasti fuori i redditi troppo bassi per pagare le tasse (gli “incapienti”), oltre che i disoccupati. “A tutt’oggi – si legge nella relazione – non ci sono le coperture strutturali per il bonus e questo ne compromette l’efficacia nel sostenere i consumi”.
Lavoro, “barriere più alte tra contratti temporanei e definitivi”
Quanto al lavoro “le garanzie giovani sin qui sono state solo promesse. Forse troppe”, esordisce l’approfondimento de lavoce.info. “Il Jobs act – aggiunge – doveva essere la prima riforma. Ma il governo Renzi ha solo varato un decreto sui contratti a tempo determinato che, con la nuova prova triennale, rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello che dovrebbe essere nel Jobs act. Aumenta così il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato”.
Scuola, “vari annunci ma nessun disegno di legge”
La scuola è uno delle questioni più presenti nell’agenda di Renzi. Eppure, si legge nell’analisi della Voce – “ci sono stati vari annunci del ministro Stefania Giannini non sempre seguiti da un dibattito in consiglio dei ministri, ma ad oggi non sono stati presentati disegni di legge o provvedimenti ministeriali”. Tra le varie misure annunciate vengono elencate l’abolizione del test di ammissione a medicina, l’abolizione delle graduatorie dei precari, l’aumento della quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario e la sperimentazione dell’accorciamento della scuola secondaria. L’unica novità nel frattempo è stato il via libera a oltre 30mila assunzioni per docenti (anche di sostegno) e Ata.
Politica per la famiglia e industriale
Più netto il giudizio su politiche per la famiglia e soprattutto politica industriale. A entrambi i capitoli lavoce.info dedica una riga o poco più. Nel primo caso, spiega il breve rapporto, “il governo Renzi sinora non ha fatto nulla se non annunci”. Nel secondo “non si ricordano interventi significativi, a parte l’appello del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi a non licenziare”.
Il rapporto con l’Ue: “Renzi gioca in difesa”
Poco coraggio, a dispetto delle parole, anche nel rapporto con l’Unione Europea. “Al di là degli annunci di ‘cambiare verso’ e di ‘mettere la crescita al centro dell’agenda’, non sembra che ci siano stati veri cambiamenti rispetto al passato – si legge nel capitolo sul tema firmato da Angelo Baglioni – Sembra anzi che l’imperativo di ‘fare i compiti a casa e rispettare i paletti fissati dal fiscal compact’ domini ancora il rapporto tra Italia ed Europa”. Per il momento ci si può affidare solo alla nomina a commissario europeo agli Affari economici di Pierre Moscovici ma per quanto riguarda la flessibilità, per esempio, “ci è stato semplicemente concesso di fare il migliore uso di quella già prevista dalle regole del Patto di stabilità e crescita, grazie, ma occorreva dirlo?”. E nessuna concessione neanche “sul fronte degli investimenti pubblici: sulla golden rule (scomputo di alcuni investimenti dal calcolo del deficit) la Germania non ha fatto sconti a Renzi, come non ne aveva fatti a Monti e a Letta”. “Almeno – prosegue Baglioni – Monti poteva dire che questa linea era imposta da uno spread alle stelle che segnalava il pericolo di un default dell’Italia”. Ma ora questo non è più vero quindi “ci vorrebbe il coraggio di dire che il vincolo del 3 per cento può essere superato e che l’Italia non teme la procedura per deficit eccessivo, purché si prendano davvero (in Italia e in Europa) le iniziative per rilanciare la crescita”. Insomma “Renzi dovrebbe mettere sul piatto una politica fiscale più espansiva da parte di quei Paesi che possono permetterselo, a cominciare dalla Germania”.
In conclusione, aggiunge Baglioni, “sembra che Renzi stia giocando sulla difensiva in Europa, contraddicendo il motto calcistico secondo cui ‘la migliore difesa è l’attacco’. In questo senso, il fatto che il ministro dell’Economia sia un grigio difensore dell’ortodossia (Padoan) non lo aiuta. Con un pizzico di cattiveria, potremmo dire che l’unico fronte sul quale Renzi è andato all’attacco in Europa è quello delle nomine, sostenendo a oltranza la candidatura della Mogherini ad alto rappresentante della Ue per la politica estera”.
Giustizia civile, “aggredire l’arretrato è centrale”
Una promozione arriva invece per le misure sulla giustizia civile: “E’ un punto centrale – si legge – per uscire finalmente a ridurre significativamente i tempi” e questo “è un obiettivo corretto”. “Per rendere efficaci nuovi eventuali interventi che servano a raggiungere obiettivi di efficienza (e non solo a contenere la crescita di congestione), eliminare l’arretrato non è solo indispensabile – si legge – ma è un passaggio ineludibile. Il fatto che si sia giunti ad affrontare la questione in momento di crisi economica profonda e di scarsezza di risorse di finanza pubblica complica non poco le cose”. Quindi la strategia è “incentivare gli avvocati a spingere le parti in giudizio a scegliere soluzioni fuori dal foro”. Tuttavia “in tempi di crisi è difficile prevedere se chi tiene comportamenti opportunistici sceglierà l’uovo (l’arbitrato), la gallina (il processo fino a sentenza) o entrambi”. Infine un passaggio sull’effetto su separazioni e divorzi: debole sulle prime, più radicale sui secondi.
“Grandi opere? Non sono la chiave più efficace per sbloccare l’Italia”
Poi la critica alla ricomparsa delle grandi opere. “E’ necessario – si legge ancora – ripetere per l’ennesima volta che le grandi opere non sono la chiave più efficace per sbloccare l’Italia?”. I motivi sono vari: “sono di realizzazione comunque lenta (solo per la Napoli-Bari si prevedono 10 anni)”, “hanno un moltiplicatore più basso di altre spese ‘cementizie’ (ovvero un miliardo speso nelle grandi opere genera meno posti di lavoro e meno domanda indotta di un miliardo speso, per esempio, nell’edilizia scolastica o ospedaliera”, “hanno minori effetti ‘di offerta’ rispetto agli investimenti in ricerca e sviluppo”. Riserve anche sulle singole opere “sbloccate” (si tratta infatti di lavori inseriti nello “Sblocca Italia”). “A cosa potrà mai servire l’alta velocità a Malpensa se il nuovo dominus dei cieli nazionali (Etihad) punta a fare di quello scalo il principale aeroporto cargo d’Italia (e forse d’Europa)? E a cosa servirà puntare tanti soldi su ben tre valichi ferroviari (Torino-Lione, Brennero e terzo valico) quando il trasporto cargo su ferrovia è ai minimi storici per motivi ‘gestionali’ e non infrastrutturali?”.
Le riforme, dal Senato all’Italicum
Paolo Balduzzi e Massimo Bordignon, per lavoce.info, si soffermano anche sulle riforme istituzionali. La legge elettorale segue il percorso della riforma costituzionale e deve fare i conti con gli equilibri interni al Pd e alla maggioranza di governo e quindi la sua approvazione è “ancora molto aleatoria”. Sulla trasformazione del Senato in Camera delle autonomie pesa proprio il nuovo passaggio a Palazzo Madama (dopo la prima “battaglia” tra luglio e agosto): “Il testo approvato in prima lettura dovrà tornare allo stesso Senato per una seconda votazione (non prima di tre mesi dall’approvazione della Camera). Sarà dunque quello il passaggio cruciale che determinerà il successo della riforma e, probabilmente, anche dell’intera legislatura”. Infine le Province per le quali si prevedevano “tempi rapidissimi, ma per il momento nulla si è visto”. Poi la risposta alla domanda principale di questi mesi: ma non era meglio partire dalle riforme economiche e non da quelle istituzionali? “Ma il paese ha certo bisogno di istituzioni più rapide ed efficienti e soprattutto sulle riforme costituzionali, visti i vincoli temporali per l’approvazione e la necessità di ampie maggioranze, o si cominciava subito o non si sarebbe portato a casa nulla (ammesso che così ci si riesca)”.
“Il comunicatore inflazionato”
Un’ultima parte del breve rapporto de lavoce è dedicata alla comunicazione di Renzi. Si nota un cambio di tono, necessario dopo che gli indicatori economici non seguono l’ottimismo del presidente del Consiglio. Così si è passati a slogan più cauti come #millegiorni e #passodopopasso“. “A questo proposito – scrive Riccardo Puglisi – penso che Renzi possa trarre insegnamenti utili dalla comunicazione e dall’azione dei banchieri centrali, per i quali è sì importante la prima impressione che si fa davanti al pubblico e agli investitori (su questo il presidente del Consiglio ha poco da imparare), ma è soprattutto cruciale la credibilità, cioè la corrispondenza quasi esatta tra quello che un banchiere centrale promette di fare e ciò che farà. Anche nell’ambito della politica vera e propria la comunicazione è potenziata dal fatto che gli slogan e le promesse siano seguiti da risultati corrispondenti e verificabili, mentre il rischio da evitare accuratamente è che gli slogan restino parole vuote senza esecuzione. Se questo accade, il capitale di credibilità si asciuga velocemente e gli slogan si ritorcono contro il loro brillante proponente”.