Mi è capitato di leggere quel che penso sia l’ultimo lavoro di Sepulveda pubblicato in Italia e vi ho trovato una notizia che mi ha colpito. Riferisce lo scrittore cileno che in Uruguay è stata proposta una legge intesa a sancire che, nel Paese, non un parlamentare né un ministro e neppure il Presidente in persona possa percepire un salario superiore a quello di un maestro elementare. Ripeto in maiuscolo: MAESTRO ELEMENTARE.
Non conosco la sorte della proposta ma non importa, è il messaggio che sta nell’intenzione che mi preme. Mi pare, infatti, evidente come, con una simile pensata, una società abbia inteso marcare il valore che attribuisce alla trasmissione della cultura e del sapere alle nuove generazioni. Trovo eccezionale che a unità di misura e pietra di paragone non si sia preso il direttore di banca o il commissario tecnico della nazionale. No: si è preso il maestro. Qui, amici, si puntualizza una scala di valori! Chiaro, la sferzante iniziativa non esalta solo l’indispensabilità di educazione e insegnamento quali garanzie di un dignitoso futuro sociale. Al contempo stigmatizza il tema caldo e assai dibattuto dalle nostre parti dei costi della politica.
Ma è ben diversa, nel nostro Paese, la scala di valori assunta. Se è vero com’è vero che in passato agli insegnanti erano riconosciuti, se non altro, onore e rispetto sociale, ora è tutto diverso. I docenti sono per lo più considerati una categoria di sfigati e pure l’istituzione scuola, nel pensiero della politica e di buona parte dei cittadini incarnanti la mentalità comune viene vissuta come una spesa da contenere perché inutile e improduttiva. Quando va bene, la scuola è vista come comodo luogo dove parcheggiare i figli nelle ore di lavoro. Avevamo accennato alla questione tempo fa in un post sulla rottura dell’alleanza tra scuola e famiglia, ma a mio avviso la situazione è talmente incancrenita che sarebbe bene riproporla ogni giorno.
Devo dirlo: spesso i primi a sentirsi sfigati sono gli stessi insegnanti, che paiono seduti su questa visione sociale. Mi si riempie il cuore quando incrocio un professore fiero e consapevole dell’importanza del proprio compito e del ruolo che svolge nella società. Se non c’è convinzione, se ci si adagia, diventa impossibile recuperare un’immagine sociale centrale della professione di docente così come del ruolo della scuola, ormai straziata da un clima imperante di prevaricazione e assoluta mancanza di rispetto da parte di molti studenti, in età verdissima, verso insegnanti e compagni. Questa scuola avvilente è sì lo specchio della mentalità diffusa e delle leggi non scritte che governano le relazioni sociali, ma sappiamo che la colpa, in genere, non è dello specchio, ma della figura che vi si riflette!
Dai, qualcuno lo dica: ma quali cultura e valori e saperi, che non c’è più niente di valido da trasmettere! Bastano tre nozioni in croce, che quel che serve oggi fai prima a prendertelo per altre vie. No, grazie, dico io. Solleviamo il tappeto sotto cui abbiamo nascosto cultura, valori e sapere per non misurarci con la vergogna per come li abbiamo ridotti. Pensiamo ai fondamenti su cui dovrebbe poggiare il patto sociale che regge la nostra Repubblica, pensiamo al sapere e al pensiero che abbiamo costruito nel cammino di uomini nella nostra civiltà come nelle altre che ormai ci sono vicine, all’attitudine a gustare la bellezza nell’arte, nella letteratura, nell’apprendere gl’insegnamenti della Storia, nel riconoscere i valori della tradizione. Gli insegnanti hanno il compito di raccogliere tutto ciò e di restituirlo ai nostri figli sotto forma di strumenti utili per affrontare le sfide che saranno chiamati a vivere come donne e uomini veri. E sarà un compito da sfigati solo se noi genitori lo crediamo e solo se sono gli insegnanti stessi a bollarlo in tal modo.
C’è anche un motivo autobiografico alla radice della mia urgenza odierna di riparlare di questo tema. Da poco mio figlio si è laureato – in Lettere – per diventare insegnante. Ditelo pure, se dovete: bella scelta! Non troverà lavoro e comunque non si arricchirà. Ma io sono fiero della sua decisione e non rimpiango l’investimento fatto dalla mia famiglia per consentirgli di studiare fino a raggiungere un ruolo che, in uno ‘strano’ Paese di questo pianeta, è stato eletto a pietra di paragone per stabilire quanto debbano valere, pensate un po’, le massime cariche dello Stato.