La leggenda secondo cui in Italia l’enorme carico processuale (civile) arretrato (oltre 5 milioni di processi pendenti) sia imputabile al numero abnorme degli avvocati (i mantra sono: “in Italia sono 250.000 e solo a Roma sono in numero eguale a tutta la Francia”; “sono una potentissima lobbie”), è stata in questi giorni continuamente alimentata. Da Piercamillo Davigo a Cernobbio e, spiace notarlo, anche da Bruno Tinti su questo giornale, seppur spesso quest’ultimo critico oggettivo tanto verso il corporativismo della magistratura quanto contro le disfunzioni dell’avvocatura (che pur ci sono).
E’ come sostenere che essendoci troppi medici aumentino gli ammalati, con troppi commercialisti aumentino i contribuenti evasori, con troppi architetti e ingegneri aumentino le costruzioni. Una tesi già assurda di suo, che peraltro tralascia uno degli effetti positivi per il c.d. cliente quale la conseguente riduzione economica delle parcelle a fronte dell’aumento dell’offerta.
Prima di discutere però occorrerebbe informarsi adeguatamente di cosa sia l’avvocatura. Procediamo dunque con dati ufficiali. Gli avvocati italiani al 2013 iscritti agli albi sono 230.435 con una proporzione di 3,8 avvocati (sino a 6,7% per la regione Calabria!) per ogni 1.000 residenti (59.917.907) e un tasso annuo di crescita dell’1,6% (nel 1995 era l’11,6% quando però gli avvocati erano solo 83.090). Certamente assai troppi. Oramai l’ha compreso anche l’imbolsita ed evergreen avvocatura istituzionale e politica (negli ultimi anni in parte rinnovatasi, grazie ad elezioni più partecipate) e difatti da anni l’avvocatura chiede al legislatore di intervenire verso il numero chiuso (Università, scuole di specializzazione etc.) ma senza ottenere risposte. Ed anzi qualcuno ricorderà il Catricalà pensiero (degno erede del Bersani pensiero) che ha spinto nella direzione diametralmente opposta: liberalizzazione selvaggia dell’avvocatura come se discutessimo di una professione qualsiasi e non di una professione costituzionalmente prevista e disciplinata per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost.. Diritto di difesa che difatti il legislatore, assai sensibile alla corruzione e alla mala gestio della Pubblica Amministrazione, ha negli ultimi anni fortemente indebolito.
Pochi peraltro sanno che il Consiglio Nazionale Forense ha da anni intrapreso un’attenta vigilanza al fine di arginare l’accesso indiscriminato all’avvocatura, consentendolo soltanto a chi superi l’esame di avvocato (di Stato), tuttavia subendo da poco dall’Europa (Corte di Giustizia UE , sez. Grande, sentenza 17.7.2014 n° C-58/13) lo smacco giuridicamente aberrante che ben si possa aggirare l’esame semplicemente recandosi in Spagna, Romania etc. iscrivendosi in tali albi (che non pretendono alcun esame) , poi trasferendosi e stabilendosi in Italia. Secondo gli illuminati giudici di Bruxelles l’iscrizione all’albo in Italia (aggirando il selettivo esame interno) non è abuso del diritto. Ed allora largo a centinaia (forse presto migliaia) di nuovi avvocati che scoprono la vocazione esterofila, salvo poi essere attratti dalle infinite e ricche opportunità nostrane!
Pochi sanno che se un avvocato volesse diventare giudice deve comunque superare il difficilissimo esame di Stato, mentre non vale il contrario, limitandosi l’ex giudice a domandare l’iscrizione all’albo! Perché?
Continuando nell’analisi dei numeri pochi sanno che il 47% dell’avvocatura è costituita da donne, che l’età media complessiva è di 44,1 anni, e infine che il reddito medio al 2012 era di € 46.921 (mentre nel 1994 era di € 58.067) con un costante decremento anno per anno.
Pochi sanno che solo una minima parte di questi è costituita da figli d’arte (infatti è stato coniato il termine proletarizzazione dell’avvocatura, fatto certamente positivo) e che ciò significa che chi inizia la professione lo fa senza capitali, senza clientela, senza welfare, dovendo pagarsi i contributi per la pensione e molteplici latri adempimenti obbligatori (polizze, etc.), senza nulla tranne un dominus che ti trasmetta passione, esperienza ed abnegazione (se si è fortunati). Pochi sanno che se un avvocato oggi incorre in errori ne risponde patrimonialmente (e a volte anche deontologicamente), mentre per un giudice ciò non avviene mai. Pochi sanno che solo una parte dei 230.435 (probabilmente la metà) sono litigator che frequentano i tribunali. L’altra metà è composta da c.d. dipendenti (negli studi legali, nelle banche, assicurazioni, società etc.) e che dunque non vivono in alcun modo di contenziosi.
Pochi sanno che gli avvocati non hanno alcun interesse a sobillare le cause (anche se vi sono professionisti mediocri che lo fanno), né a perpetrare la lunghezza dei processi (non gestiscono né dettano i tempi processuali, governati solo dai giudici) atteso che da anni non esiste il tariffario ma si parcellizza oramai per iscritto ed a forfait, avendo dunque l’interesse contrario (a concludere nel minor tempo possibile la causa).
Certo, necessiteremmo anche di Ordini rigorosi e severi, e di un Consiglio Nazionale Forense indipendente dagli Ordini (mentre l’elezione dello stesso avviene in seno al consiglio dell’Ordine).
Pochi però sanno dell’avvocatura ma molti ne parlano a vanvera, per sentito dire, per luoghi comuni.