Il boss, intercettato nel carcere milanese di Opera insieme a Lorusso, parla del delitto del cronista dell'Ora scomparso a Palermo il 16 settembre del '70. Per il capo dei capi a volere l'assassinio fu il principe di Villagrazia che lo stesso padrino corleonese fece uccidere nel 1981. Secondo le motivazoni della sentenza di primo grado, il giornalista venne ucciso perché aveva scoperto fatti inediti sulla morte di Enrico Mattei
Il luogo dove è seppellito il corpo di Mauro de Mauro? Lo sapeva solo Stefano Bontate. Parola di Totò Riina, unico imputato del delitto del giornalista dell’Ora, poi assolto sia in primo che in secondo grado. E’ il 28 agosto del 2013 e il boss corleonese passeggia nel cortine del carcere milanese di Opera. Con lui c’è Alberto Lorusso, “l’uomo cimice”, che lo accompagna per mesi durante l’ora d’aria. “Certi processi solo coi pentiti non andrebbero fatti” dice Lorusso, riferendosi proprio al processo sull’omicidio del cronista dell’Ora, scomparso a Palermo esattamente 44 anni fa.
Sono le 21 circa del 16 settembre del 1970 e De Mauro sta facendo ritorno a casa: scende dall’auto, ma viene subito invitato a risalire da tre uomini rimasti nell’ombra. “Andiamo” grida nel buio uno dei tre, mentre De Mauro ha già rimesso in moto il motore della sua Bmw blu scuro, sotto lo sguardo della figlia Franca. Da quel momento del giornalista dell’Ora non si saprà più nulla: le indagini sembravano sul punto di arrivare ai mandanti del delitto, quando invece tutto viene bloccato per ordine diretto di Vito Miceli, direttore del Sid. Da lì in poi buio assoluto fino al processo iniziato nel 2006, 36 anni dopo la scomparsa del cronista, che porta alla sbarra lo stesso Riina, poi assolto anche appello. Assoluzione che Riina cita durante l’ora d’aria, vantandosene con il compagno di cella. “Riina tesse elogi per l’avvocato palermitano Giovanni Anania, subentrato nella difesa al posto del precedente avvocato fiorentino (Cianferoni ndr), che sarebbe riuscito a sconfessare i collaboratori di giustizia, tra cui Francesco Di Carlo, le cui dichiarazioni non sarebbero state tenute in considerazione da parte del collegio giudicante” appuntano gli agenti della Dia che intercettano i due.
“Di Carlo è un vero sbirro, un miserabile, un magnaccia” dice il capo dei capi, che poi dedica un passaggio della sua conversazione al luogo dove potrebbe essere stato nascosto il cadavere del giornalista dell’Ora. Secondo Riina “i tre fratelli Grado, essendo stati vicini a Stefano Bontate e ben inseriti nell’ambiente criminale, potrebbero essere a conoscenza di particolari della scomparsa e del luogo d’interramento del cadavere”. A sentire il capo dei capi, l’assassinio del giornalista è opera di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia che lo stesso Riina fa uccidere nel 1981. Del cadavere di De Mauro, però, nonostante diverse testimonianze di collaboratori di giustizia, non si ha mai avuto traccia. “Vuol dire che Stefano Bontate non l’ha detto neanche a loro dov’era: però Nino (Grado ndr) lo sa, lo sa, ma non se la canta” dice il boss corleonese, probabilmente facendo confusione tra Nino e Gaetano Grado: il primo avrebbe avuto un ruolo operativo nel sequestro De Mauro, per poi finire assassinato negli anni ’80, mentre il secondo, è diventato un collaboratore di giustizia, teste importante anche del processo sulla scomparsa del giornalista.
Secondo le oltre duemila pagine che costituiscono le motivazioni della sentenza di primo grado, De Mauro è stato assassinato perché aveva scoperto fatti inediti sulla morte di Enrico Mattei nel 1962. Ingaggiato dal regista Franco Rosi per indagare sugli ultimi due giorni in Sicilia del presidente dell’Eni, il giornalista scoprì come l’incidente aereo in cui morì Mattei fosse stato provocato da una piccola carica di esplosivo piazzata all’interno del piccolo Morane Saulnier. Un’azione messa in pratica da Cosa Nostra su input ricevuti da livelli esterni all’organizzazione. La stessa dinamica che si riproporrà nel 1970 per mettere a tacere De Mauro.